Tutti i segnali, a partire dai sondaggi, dicono che probabilmente il Pd verrà indicato come il vincitore di queste elezioni amministrative: perché ha abbastanza azzeccato i candidati-sindaci, perché ha ancora una forza organizzata sul territorio, perché a sinistra non c’è altro. Ma se davvero vincerà, il Pd avrà vinto nel vuoto. Questa è la sua vera fortuna e, come diremo, la sua possibile trappola.
Con un Movimento Cinque Stelle ormai consunto e malaticcio, con il nulla dei vari comunisti 2.0 alla sua sinistra, con i centristi riformisti, quelli che dovrebbero costruire il super-centro, ancora disorganizzati e brillanti solo grazie a due figure come Beppe Sala e Carlo Calenda, che è molto meglio di niente ma ancora lontano dal costituire un’alternativa, si può vincere facile.
E – per sua somma fortuna – il Pd sta incrociando l’inizio della grande crisi dei sovranisti, tra vicende penose (caso Morisi) e orripilanti (caso Fidanza), il tutto dentro un quadro di inedite difficoltà soprattutto per Matteo Salvini (la concorrenza di Giancarlo Giorgetti) ma anche di Giorgia Meloni, impicciata – come abbiamo scritto – dentro un passato che non passa. Come spesso accade, vai a capire se hai vinto tu o se hanno perso gli altri.
Nelle grandi città il partito di Enrico Letta ha avuto come avversaria una destra con le ruote sgonfie, simboleggiata da candidati risibili, ereditando peraltro un bel po’ di voti ex grillini schifati dalle prove di governo di Virginia Raggi e Chiara Appendino e nella vaghezza del contismo bla bla bla, direbbe Greta. Una congiunzione astrale di combinazioni fortunate davvero incredibile. Unita, lo ripetiamo, a una notevole ripresa sul piano organizzativo e anche a una ritrovata combattività sul territorio.
Se andrà così, immaginiamo, conoscendoli, che stasera il Nazareno sarà al settimo cielo. Comprensibile, giusto. Enrico Letta peraltro sarà ridiventato deputato, tanti auguri di buon lavoro, e quindi sarà personalmente molto contento. Già indoviniamo l’esaltazione dei militanti che hanno fatto una dura campagna elettorale e anche la fiducia di quei candidati sindaco che dovranno andare al ballottaggio con ottime possibilità di vincere.
Confidiamo tuttavia nella sobrietà dei dirigenti, almeno in pubblico, perché non c’è niente di più odioso di quella che Antonio Gramsci chiamava la “boria di partito”, che non è solo un atteggiamento antipatico ma politicamente sbagliato, sintomo di chiusura in se stessi: il partito – scrive Gramsci nei “Quaderni dal carcere” – deve «reagire contro lo spirito di consuetudine, contro le tendenze a mummificarsi e a diventare anacronistico», la burocrazia interna rischia altrimenti di diventare «una forza conservatrice pericolosa». Fenomeni che accadono quando «si è formati», scrive ancora Gramsci, cioè si è arrivati a un certo punto di crescita.
Può dunque benissimo darsi che da domani il Pd sarà più forte, più motivato, forse più unito. Ma per fare che? Ecco la trappola di una eventuale vittoria che potrebbe anche cristallizzare il Pd in un immobilismo strategico, in una rilassata attesa di altre disgrazie degli avversari, continuando a rinviare il momento di una discussione vera all’interno del partito. E contando che comunque là fuori c’è un governo che governa, come diceva un vecchio slogan del Pci.
È stato già detto da molti che la vittoria di oggi non significa assolutamente una vittoria domani e che illudersi che la strada sia in discesa sarebbe infantile; ma soprattutto Letta e i suoi dirigenti dovranno respingere la tentazione di dirsi allo specchio che la “linea” funziona: perché la verità è che una “linea”, nel senso di una strategia di medio-lungo termine, non esiste. A meno di non confondere il bipolarismo indotto dal sistema elettorale per le amministrative con una realtà politica che al contrario va frammentandosi: “O di qua o di là” (Letta) suona bene ma siete sicuri che corrisponda al sentire politico degli italiani e agli orientamenti dei partiti? O si pensa che basti impapocchiare lo “schemone” di un’alleanza da Nicola Fratoianni a Matteo Renzi passando per Giuseppe Conte per vincere le elezioni politiche?
Ecco, non bisogna dare nulla per scontato e non sedersi sugli allori. Anzi, il Pd dovrebbe approfittare del vento favorevole per fare un’opera di chiarimento sull’idea di Paese che ha in mente e, dopo i festeggiamenti, tentare di far capire cosa vuol fare da grande. Senza contare troppo sulla fortuna, che quella gira.