Incidenti stradaliSconfiggere il Covid è impossibile, ma stiamo riuscendo a renderlo (quasi) innocuo

Per il ricercatore britannico Jeremy Farrar, a 18 mesi da inizio pandemia lo scenario è più che chiaro: il virus non se ne andrà. Di fronte all’impossibilità di debellarlo o azzerarne le morti, sarà invece possibile contenerle, ammortizzare i danni, e infine conviverci

LaPresse

È fatta. Ha vinto il coronavirus. A quasi 2 anni dallo scoppio dell’epidemia di Covid, ci sono sempre meno dubbi sull’impossibilità di debellare il virus – o le sue varianti – né nel futuro prossimo, né in quello remoto. Questa la tesi di Dave Lawler nel suo ultimo articolo per Axios, in cui elenca i casi più vittoriosi di gestione della pandemia su scala globale degli ultimi 18 mesi. Lo fa attraverso le parole di Jeremy Farrar, medico inglese, autorità di malattie infettive e direttore di Wellcome Trust, ente di beneficienza con sede a Londra con i maggiori stanziamenti al mondo dopo la Bill & Melinda Gates Foundation.

Basta guardare il numero di casi ancora decisamente alto, anche in territori dove la campagna vaccinale è più che progredita o dove si era scelto di provare a eradicare la malattia, vedi Nuova Zelanda o Australia, che adesso invece stanno applicando dei programmi di vera e propria convivenza con il virus. Tra restrizioni pandemiche, politiche di confine e numeri altalenanti, l’intero pianeta è allo stesso punto in cui si trovava un anno fa.

 «Questo virus sarà qui per sempre, non arriveremo mai a zero morti», sostiene Farrar. Tra i paesi con la miglior gestione della pandemia, secondo lui spicca la Danimarca, che, con la sua quasi totale eliminazione di restrizioni arriva a godere di uno dei tassi di vaccinazione più alti del mondo – 76% della popolazione e 87% degli over 12.

Ancora una volta è una questione geopolitica. Solo una fetta di mondo ha avuto accesso a una campagna vaccinale efficace, resa quasi universale così da contenere al massimo i rischi di ulteriori ondate. Si tratta però soltanto dei paesi ricchi, mentre per quelli poveri il tasso di vaccinazione è drasticamente più basso e le probabilità che il Covid abbia ancora gravi ripercussioni sul piano sanitario, economico e sociale sono ancora alte.

In India quasi metà della popolazione è stata vaccinata, ma restano oltre 700 milioni di persone ancora in attesa dell’iniezione. L’Afghanistan o la Repubblica Democratica del Congo registrano un tasso di vaccinazione bassissimo, e così anche gli Stati Uniti. Le grosse diseguaglianze sociali e i forti flussi migratori collocano gli Stati Uniti tra i paesi più duramente colpiti dal Covid. 

Nuova Zelanda e altri paesi del Sudest asiatico hanno, daltra parte, raggiunto un livello di immunità naturale che li ha portati a non risentire degli effetti devastanti della pandemia, né di avere ondate di ritorno particolarmente intense. Sono questi i paesi quasi sulla soglia del 100% di vaccinazioni.

Creando paesi con alto tasso di vaccinazione, altri con basso, altri ancora con grande immunità di gregge e infine alcuni con nessuna delle due cose «stiamo dando un vantaggio evolutivo a questo virus», prosegue Ferrar «che spero non sfrutti». Farrar è un grande sostenitore dell’equità vaccinale e di una terza dose per le frange di popolazione più vulnerabili, nel contesto del Regno Unito. I vaccini stanno egregiamente arginando i ricoveri, ma «le pressioni interne, guidate in qualche modo dalla paura, sono quelle di vaccinare una terza, quarta, quinta volta, se necessario».

Lo scenario è chiaro: il Covid non se ne andrà. Di fronte all’impossibilità di debellarlo o azzerarne le morti, sarà invece possibile contenerle, ammortizzare i danni, e infine conviverci. In futuro, tratteremo le morti per il virus come le morti per incidenti stradali. È un paradosso, ma è l’unica vittoria che possiamo raggiungere.

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