La mia artePerché i collage rappresentano il mondo meglio di qualsiasi cosa

È un lavoro che non esclude, che assomma e che fornisce la più corretta visione della realtà. È quello che sostiene l’artista svizzero Thomas Hirschhorn in mostra a Roma al MAXXI con “The Purple Line”, a cura di Hou Hanru e Luigia Lonardelli, dal 20 ottobre 2021 al 6 marzo 2022

di Giorgio Benni (part.)

Il ciclo di opere su carta sulle quali sto lavorando da diversi anni sono dei collage. Un collage è un’interpretazione, è un’interpretazione vera, reale, completa.

Un’interpretazione che vuole creare qualcosa di nuovo.

Fare collage significa creare un nuovo mondo con elementi del mondo esistente. Fare collage è poco professionale e veramente molto facile. Tutti, una volta nella vita, hanno fatto un collage e tutti sono stati coinvolti in un collage. I collage hanno il potere di coinvolgere immediatamente l’altro.

Mi piace la capacità di non-esclusione dei collage e mi piace il fatto che appaiano sempre sospetti e non vengano presi sul serio. I collage continuano a resistere al consumo, anche se, come ogni cosa, devono combattere contro il glamour e le mode.

Voglio mettere insieme ciò che non può essere messo insieme, penso che questo sia lo scopo di un collage ed è la mia missione come artista. Le immagini che metto insieme provengono da materiale stampato che prima ha avuto un’altra esistenza: foto o pubblicità – sempre stampate – che ho preso da riviste di moda e politica, e immagini che ho stampato da Internet, a volte ingrandite con una fotocopiatrice.

Voglio creare un lavoro bidimensionale che possa essere mentalmente dispiegato in una terza dimensione. Voglio rompere la scala, gli angoli e la prospettiva. Voglio mettere tutto il mondo nei miei collage. Voglio metterci tutto, l’intero universum. Voglio esprimere la complessità e la contraddizione del mondo in un unico collage. Voglio esprimere il mondo in cui vivo, non il mondo intero come un tutt’uno, ma come mondo frammentato.

I miei collage sono un impegno verso l’universalità del mondo. Sono contro il particolarismo, contro l’informazione, contro la comunicazione, contro i fatti e contro le opinioni.

La questione non è chi è la vittima, chi è il colpevole, né di cosa si tratta. Si tratta di tutta la Storia e non solo di un singolo fatto. Con il mio lavoro voglio raggiungere, toccare la Storia al di là del fatto storico.

La domanda è sempre la stessa: qual è la mia posizione? La domanda riguarda me stesso, oggi. Voglio affrontare il caos, l’incomprensibilità e l’inconcludenza del mondo, non portando la pace o la tranquillità né lavorando in modo caotico, ma lavorando nel caos e nell’inconcludenza del mondo. Voglio fare qualcosa di intenso che raggiunga la bellezza nella sua densità. Voglio lavorare in modalità di emergenza, voglio fare troppo.

Le immagini che uso in un collage sono un tentativo di confrontarmi con la violenza del mondo e con la mia stessa violenza. Sono parte del mondo e tutta la violenza del mondo è la mia stessa violenza, tutte le ferite del mondo sono le mie stesse ferite. Tutto l’odio è il mio odio.

Amo Dada e i collage dei dadaisti, amo i bellissimi collage di Johannes Baader e il suo “Das grosse-Dio-Dada-Drama”, è un’immagine che porto sempre con me. Amo John Heartfield e il suo lavoro, lui diceva: «Usa la fotografia come un’arma!». Amo fare collage e amo fare questo tipo di lavoro.È semplice fare un collage e può essere fatto velocemente. È divertente fare un collage e allo stesso tempo è considerato sospetto perché troppo semplice, troppo veloce. Sembra non abbastanza rispettabile o immaturo. Questo è il motivo per cui i collage sono per lo più un’attività giocosa e sciocca per bambini. Ma un collage è resistente, sfugge al controllo persino di chi lo fa.

Fare un collage ha sempre a che fare con “l’essere senza testa”. Non c’è nessuna intenzione espressiva con un potere esplosivo così grande. Un collage è carico e rimane sempre esplosivo.

Spesso rimango ammutolito davanti ad esso, e più precisamente, come artista, si tratta di resistere a questo “sembrare stupido”.

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