Big Tech in rigaCome l’Unione europea sta provando a regolamentare il mercato digitale

Con i regolamenti Digital Markets Act e Digital Service Act, Bruxelles comincia a occuparsi seriamente della tutela dei diritti fondamentali, dei principi del libero mercato e della concorrenza online. L’obiettivo è stabilire i principi guida di un corretto funzionamento di internet

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Una strada priva di regole, senza strisce pedonali né limiti di velocità, nessuno che chiami i soccorsi in caso di incidente e nemmeno un poliziotto a garantire la sicurezza. È così che ci si può immaginare il mondo digitale di oggi.

L’Unione europea sta lavorando per creare una cornice normativa adeguata alla realtà online: il mondo digitale oggi è un panorama dalle potenzialità sconfinate, ma anche pieno di insidie.

La metafora della strada caotica è proposta da Sandro Gozi, ex sottosegretario nei governi Renzi e Gentiloni, europarlamentare italiano eletto in Francia nella Liste Renaissance (espressione della Répubblique En Marche di Macron).

Per Gozi è «assolutamente necessario e urgente agire quanto prima per regolamentare il mercato». Perché la rete non è una realtà altra, separata, distante dal resto del mondo. È un luogo in cui stiamo costruendo la società di oggi e di domani. «Per questo motivo – prosegue – occorre ripristinare la legalità in questo spazio. Le regole che abbiamo oggi sono vecchie di 20 anni, che nel panorama digitale equivalgono a due secoli. È come se applicassimo regole dell’epoca della Rivoluzione francese».

Bruxelles sta provando a creare una via europea alla regolamentazione digitale: un percorso diverso e distante dal modello americano – che ha pochissime regole e demanda tutto, o quasi, alle grandi aziende – e dal modello totalitario cinese, dove ci sono forme di controllo dittatoriali e la circolazione delle informazioni non segue le regole della democrazia.

L’Unione europea si sta dotando di due nuovi strumenti. Il Digital Markets Act e il Digital Service Act sono due regolamenti – che quindi saranno recepiti automaticamente dagli ordinamenti nazionali – e hanno proprio l’obiettivo di stabilire i principi guida di un corretto funzionamento dei mercati: trasparenza, correttezza, concorrenza, libertà di impresa.

Il Digital Markets Act è uno degli atti normativi a cui l’Europa lavora per riequilibrare i rapporti di forza con le big tech. Include principalmente divieti o restrizioni nell’esecuzione di specifiche pratiche commerciali, e obblighi da far rispettare alle piattaforme per modificarne le pratiche commerciali e facilitare la concorrenza.

«Il tema è dare delle regole ai giganti del settore, stabilendo anche uno schema di sanzioni per chi non rispetta il regolamento, soprattutto per limitare gli abusi di posizione dominante nei confronti di altri attori presenti sul mercato. Perché queste grandi imprese oggi gestiscono sia le piattaforme sia i servizi offerti lì sopra», dice Sandro Gozi.

Anche il Digital Services Act nasce con l’idea di creare un’Europa adatta all’era digitale, provando a rafforzare il mercato unico dei servizi digitali, promuovere l’innovazione e la competitività dell’ambiente online europeo.

«Il Digital Service Act – spiega Gozi – opera proprio in funzione di un maggior pluralismo e di una più diffusa offerta dei servizi digitali, a prezzi più bassi, facilitare le startup e semplificare il panorama normativo europeo, migliorare la protezione dei diritti fondamentali e la sicurezza. È importante stabilire anche un principio di legalità per cui ciò che è illegale offline deve essere illegale anche online».

L’iniziativa dovrebbe garantire che tali piattaforme si comportino in modo equo e possano competere direttamente con nuovi operatori e concorrenti, in modo che gli utenti abbiano una scelta più ampia e il mercato unico rimanga competitivo.

«Uno dei punti fondamentali – aggiunge Gozi – è il tema della moderazione dei contenuti, soprattutto quelli che rientrano nella zona grigia del potenzialmente dannoso, come la disinformazione, i contenuti di odio, quelli che danneggiano una persona anche quando non è legalmente rilevante. Le piattaforme devono assicurare la trasparenza degli algoritmi e il loro ruolo di moderatori delle loro stesse piattaforme: ad esempio tenendo molto bassa la viralità di fake news o palesi attività disinformazione mentre oggi accade esattamente il contrario».

Entrambi i provvedimenti, Digital Markets Act e Digital Service Act, sono criticati per due aspetti.

Il primo è che si tratta di normative che regolano il mercato ex ante: una condizione che potrebbe non adattarsi al mercato digitale, caratterizzato proprio da evoluzioni rapide e frequenti.

Il secondo riguarda la necessità di permettere al mercato di esprimere tutte le potenzialità dell’innovazione digitale: il rischio è che un’eccessiva regolamentazione possa rappresentare un freno allo sviluppo del settore, diventando un limite per la crescita economica, occupazionale e sociale degli Stati.

Non è d’accordo, però, l’eurodeputato: «La valutazione ex ante serve anche per stabilire i nuovi principi di pluralità e trasparenza a cui deve ispirarsi la normativa. E le regole che l’Unione europea si sta dando servono proprio per aumentare il pluralismo: oggi le grandi piattaforme limitano lo sviluppo e la possibilità di offrire servizi e frenano i nuovi attori, quindi anche tante società europee».

Una maggior concorrenza e una maggior trasparenza, un mercato più corretto è anche una grande occasione per l’Italia, le sue startup che già ci sono e quelle che potrebbero nascere.

Lo stesso Mario Draghi in settimana ha ribadito in Parlamento la centralità dell’agenda digitale per assicurare all’Italia un futuro migliore: «Siamo ancora indietro, ma intendiamo colmare rapidamente il divario che ci separa dal resto d’Europa, e in alcuni settori arrivare a guidare la transizione digitale europea. Per farlo abbiamo stanziato 50 miliardi di euro, oltre un quarto della dotazione complessiva del Piano».

Un modello da seguire potrebbe essere quello francese: nel 2017 Emmanuel Macron annunciò l’intenzione di fare della Francia una tech nation. E come scriveva il Financial Times in estate la scommessa di puntare sul settore digitale ha pagato ottimi dividendi: «Negli ultimi tre anni, il numero di start-up valutate oltre 1 miliardo di euro è triplicato in Francia, contro un aumento di appena il 69 per cento nel Regno Unito e il 44 per cento in Germania». L’Italia potrebbe ambire a un percorso simile.

Resta poi da capire come queste due misure andranno a condizionare le relazioni transatlantiche tra Unione europea e Stati Uniti. I regolamenti hanno già irrita da tempo l’amministrazione Biden, in quanto prendono di mira praticamente solo le società americane.

«È vero che c’è il rischio di creare una frizione – conclude Sandro Gozi – è utile però chiarire che l’obiettivo non è punire i grandi player americani in quanto tali, o peggio ancora perché americani. L’idea è creare un mercato più equo, più giusto. E mai come questa volta le nuove regole dell’Unione europea sono un grande strumento di politica estera: fondamentale quindi dialogare in modo costante con gli Stati Uniti, passo dopo passo. In novembre sarò in missione a Washington proprio per questo».

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