CommilitoniIl Circolo dei reduci di Milano: quando il “Casello” guarda al futuro

Con sede nelle strutture di Porta Volta, ricavate a fine Ottocento lungo i Bastioni spagnoli per mettere in comunicazione il complesso del Cimitero Monumentale con la città, l’associazione ha conquistato le simpatie del quartiere. E ora costruirà un giardino pubblico

via Urbanfile.org

C’erano una volta, a Milano, i Caselli di Porta Volta, ricavati a fine Ottocento lungo i Bastioni spagnoli per mettere in comunicazione il complesso del Cimitero Monumentale con la città. Una porta “aperta” che aveva una funzione unicamente doganale. Oggi, nell’attuale piazzale Baiamonti, a testimoniare quella storia non ci sono più né i Bastioni, né la cancellata che collegava le due stazioni. I Caselli, però, sono rimasti, vivendo con la città, generando nuove storie.

Sul lato della Piramide Feltrinelli c’è il presidio della “Camera del Non Lavoro”, uno spazio occupato nel 2020 dal sindacalismo sociale milanese dopo lo sgombero di via Fiamma. Di fronte, dal 1919, c’è il primo Circolo ex-combattenti e reduci di Milano che, fino a non molto tempo fa, era riservato solo a ex militari. Niente donne, niente quote rosa.

Poco più di un centinaio di soci, destinati a diminuire. Ma un ruolo di memoria e di aggregazione rimasto intatto, anche con i cambiamenti negli anni, cioè «l’ammissione delle donne, i lavori per mettere a posto la cucina e il giardino, l’apertura al pubblico, ma conservando l’anima originaria» – racconta  Nunzio Taccardi, un passato da oste, accolto come gestore per il nuovo corso – «Ma per diventare soci simpatizzanti la strada ci vuole il permesso del Consiglio Direttivo e un interesse reale per la vita associativa».

Del resto il circolo non è un’associazione qualunque. Basta vedere la collezione di riproduzioni di armi e berretti militari che campeggia sulle pareti. O studiare la precisa gerarchia del luogo: da un lato, i biliardisti, dall’altro, i giocatori di carte e, in un angolo, il tavolo degli “esclusi”, che sono poco accreditati non sapendo fare bene né l’una né l’altra cosa. Al bancone, Nunzio e i suoi ragazzi intenti a servire “bianchini” come se piovesse. E poi gli storici, gli anziani rimasti:  il Serafino, la Zola, l’Oscar e l’Armando, presidente onorario fino allo scorso anno, quando purtroppo è morto.

Un’atmosfera che ha attratto anche tanti giovani. «Prima del lockdown avevamo 200/300 persone a sera», racconta Nunzio, «tra cui tanti giovani e famiglie che venivano alle serate culturali e musicali, si fermavano a mangiare o a giocare a ping-pong e a calcio balilla e restavano affascinati dallo spirito del luogo». Un successo costruito sul passaparola, su un ambiente semplice, autentico, all’insegna della Vecchia Milano che, come i Navigli, continua a scorrere  nelle vene di molti suoi cittadini.

Oggi, pur con tutte le accortezze del post Covid, ragazzi e famiglie stanno tornando.

Una conferma del ruolo di tradizione e cultura popolare milanese che ha dato la forza di affrontare anche una prospettiva apparentemente difficile: la realizzazione della seconda modernissima piramide di Fondazione Feltrinelli e del nuovo Museo nazionale della Resistenza, voluto dal Comune e dal ministero dei Beni e delle Attività Culturali, a pochi metri dal Casello, sottraendone tutto lo spazio esterno.

I combattenti, però, sono “exsolo di nome. I soci si sono rimboccati le maniche e hanno presentato al Comune un progetto che tutela il Casello ma anche lo spazio esterno, con la creazione di un giardino pubblico proprio davanti al nascente Museo. Un mese fa, è arrivata la concessione: il Circolo inizierà i lavori con fondi propri e il sostegno di alcuni sponsor ma, soprattutto, forte del consenso della comunità di quartiere.

I milanesi tra queste mura hanno iniziato a intravedere un possibile spazio di integrazione tra la “Vecchia Milano” e la Milano del futuro. Un incontro tra generazioni, valori, visioni. «In fondo», afferma il presidente del Circolo, Alessandro Laner, «se c’è un progetto di città moderna per contrastare ogni forma di degrado, anche la perdita della memoria storica e dello spirito di comunità è un nemico».

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