In un certo senso, il complottismo è l’omaggio che l’antirealismo rende al realismo, appunto perché il virus c’è, è reale, e coloro che sulle prime lo hanno negato lo facevano essi stessi in nome della verità e della realtà, anche se per dovere d’ufficio dovevano il più delle volte scrivere «verità» e «realtà», così come «pandemia», «epidemia» e «contagio», tra virgolette.
Tra negazionismo, minimalismo, benaltrismo e complottismo, molti filosofi che in altri momenti avrebbero sottoscritto la tesi secondo cui non esistono fatti, solo interpretazioni, e che la verità è poco più che un complimento, una pacca sulla spalla, inutile in democrazia quando non necessariamente dannosa, perché pregiudizievole per la solidarietà umana, si trovano impegnati in una battaglia in nome della verità: non è vero che c’è il virus; non è vero che è naturale; non è vero che è il più grande problema con cui ci misuriamo in questo momento.
Tuttavia, il complottismo è una fortezza in cui è facilissimo entrare ma difficilissimo uscire, perché se ne infischia delle evidenze, ossia è un giudizio sintetico a priori. Se qualcuno vuole credere in un oracolo, nessuno glielo può impedire. Se uno sostiene che la causa di tutte le sue disgrazie è un marziano o Manitù, è futile obiettargli che probabilmente né i marziani né Manitù esistono, e che se esistessero avrebbero con ogni probabilità di meglio da fare che infelicitarlo. Il complottista opporrebbe che questo è tipicamente il discorso di coloro che ordiscono complotti per conto dei marziani o di Manitù, e trasformerebbe la confutazione in una conferma.
Manzoni storicizzava i giudizi e non escludeva che lettori futuri avrebbero trovato delle corbellerie in quello che scriveva. Passano altri due secoli, e la corbelleria non passa, ma diviene istantanea e riconoscibile all’impronta. Non c’è motivo perché io stesso non proferisca a mia volta corbellerie, né mi sentirei di escludere che, diversamente da Don Ferrante, i suoi pronipoti non abbiano economizzato in amuchina, sebbene (non stento a crederlo) anche in quella attività si saranno impegnati con un cipiglio degno di miglior causa. Ma non credo di dire uno sproposito se ricordo, con Pierre Bayle, che in filosofia non c’è setta, per quanto irrisa, smentita, sbugiardata e offesa, che non possa risorgere in altri tempi e in altri lidi.
Dopo lo scrutinio di tutti questi complotti esposti con una serietà da Buster Keaton, il complottismo iperbolico e cabalistico giunge come una ventata di ossigeno, o di gas esilarante. Tre eventi, suggerisce un bene informato, hanno avuto luogo nel 1968: è stato coniato il coronavirus, a New York iniziò la costruzione del World Trade Center e il 9-1-1 divenne il numero nazionale di emergenza negli Stati Uniti. Questi tre eventi sono stati prodotti da un codice numerico, Gematria, che ha lo scopo di instaurare in tutto il mondo uno stato di sorveglianza, con la complicità di partiti politici e del Vaticano.
Né si ometta di considerare questo: il 18 ottobre 2019, a New York, una simulazione reperibile su internet anticipa l’epidemia, che conviene a tutti i poteri forti: big pharma, piattaforme e Stato disciplinare, sotto la guida delle élites globalizzate. Non nascondiamocelo: le olimpiadi militari che si inaugurano a Wuhan il 18 ottobre 2019 non sono che l’esecuzione di un copione che prevedeva tutto – il pipistrello, la curva dei morti, i passi della crisi economica. Per parte sua, anche Gates aveva previsto tutto, tranne sua moglie e la clorochina, umile ed economico rimedio al male e inviso ai grandi della terra.
Non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere. I poteri che governano il mondo hanno profittato della epidemia, che a questo punto non importa se ci sia o meno, per riprendere in pugno una situazione che gli stava scappando di mano. Lo scopo di questa mossa pretestuosa è l’imposizione di una tirannia per il tramite di uno stato di eccezione. Mario Vargas Llosa ha dichiarato: «Que la pandemia no sea un pretexto para el autoritarismo». E lo hanno seguito, firmando, vari ex capi di Stato, spagnoli e latinoamericani, paventando l’avvento di un virus caudillo.
Altri, sebbene in minor numero, hanno invece visto nel caudillismo una chance da sfruttare sino in fondo, come fece De Gaulle ai tempi dell’Algeria, per ricostruire la nazione su basi solide, superando il disastroso sistema dei partiti e adottando una nuova Magna Charta che unisca e salvi la patria che per nostra fortuna, nel caso in esame, è la Francia. I più, tuttavia, vedono in questa circostanza una recrudescenza del dispositivo securitario dello Stato moderno, in cui lo statista è anche uno stragista, non si sa se perché è assolutista o semplicemente pasticcione: tant’è che riesce, al tempo stesso, ad ammazzare innocenti che si potevano salvare e a sopprimere i diritti fondamentali.
Nella gran luce c’è qualcosa di nascosto, questa la consapevolezza che separa il complottista dal gregge. A che pro si scomodano i media e la sanità? A che pro si scatena il panico? È ovvio che nulla di ciò che accade è frutto del caso, e da questa intuizione si generano leghe di libri che sostengono, separatamente o in accoppiamenti più o meno giudiziosi, le seguenti posizioni: Virus Neoliberista, Virus Globalista, Virus Antiglobalista, Virus Decisionista, Virus Golpista, Virus Fascista, Virus Sovranista, Virus Autocensorio, Virus Antioccidente, Virus Sciacallo, Virus Antimigrante (anche nella versione «prima gli italiani»), Virus Militarista, Virus Tecnocrate – salva restando la possibilità di abbracciare la sommatoria di tutte le categorie precedenti.
È una attività piena di soddisfazione, cioè di conferimento di senso, che per essere condotta a buon fine chiede solo l’omissione della domanda: può un virus il cui Dna neoliberista pare indiscutibile essere, insieme, lo strumento di un complotto statalista, di un complotto comunista e antineoliberista, o antipopulista, e nella fattispecie di un complotto liberal per vincere le elezioni americane?
Non è affatto infrequente che tutte le posizioni (negazionismo, minimalismo, benaltrismo, complottismo) si mescolino, giacché la realtà è dialettica e il cuore umano è un guazzabuglio. Si consideri la successione di giudizi formulati da un illustre filosofo italiano: 26 febbraio 2020: «Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta pandemia». 17 marzo: «un pericolo di ammalarsi che, almeno per ora, non è statisticamente nemmeno così grave». 20 marzo: «il Paese ha bisogno di tornare a vivere, indipendentemente dal parere tutt’altro che concorde dei virologi e degli esperti improvvisati». 27 marzo: «Mai come oggi si è assistito allo spettacolo, tipico delle religioni nei momenti di crisi, di pareri e prescrizioni diversi e contraddittori, che vanno dalla posizione eretica minoritaria (pure rappresentata da scienziati prestigiosi) di chi nega la gravità del fenomeno al discorso ortodosso dominante che l’afferma». 28 marzo: «Come Foucault ha dimostrato prima di me, i governi che si servono del paradigma della sicurezza non funzionano necessariamente producendo la situazione d’eccezione, ma sfruttandola e dirigendola una volta che si è prodotta». 27 aprile: «senza voler minimizzare l’importanza dell’epidemia bisogna però chiedersi se essa può giustificare misure di limitazione della libertà che non erano mai state prese nella storia del nostro Paese».
Nel giro di pochi mesi, e in un solo pensatore, si susseguono i progressi del contagio così come sono descritti nel mutare della opinione pubblica circa la peste nei Promessi sposi. «In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro».
da “Post-Coronial Studies. Seicento sfumature di virus”, di Maurizio Ferraris, Einaudi, 2021, pagine 136, euro 12