Antonio sulla poltrona guarda lo schermo della televisione spento. Nota il riflesso della sua figura nel fondo nero del televisore. Si gode questo silenzio e questa solitudine.
Per un momento pensa di voler accendere la televisione. Ma sarebbe solo un modo per sporcare l’attesa, rimbalzando da un canale all’altro, da un programma all’altro. In realtà, vorrebbe un caffè.
Avverte dei rumori provenire dalla cucina che gli ricordano di quel ragazzo che dice di doversi prendere cura di lui. Per un attimo lo aveva dimenticato, adesso ricorda. Guarda la finestra, il paesaggio che riesce a scorgere dalla sua posizione, il cielo. Fissa le tende.
Per un attimo, ricorda tutto. Persino quello che vorrebbe dimenticare. Ma solo per un istante, poi distoglie l’attenzione e la memoria.
Ritorna a pensare solo al caffè. Al bisogno di colazione.
Deve ingannare il tempo nell’attesa della salvifica bevanda nera. Smania sulla poltrona, cerca il bastone. Una volta trovato, appoggiato proprio vicino al suo braccio, tira su la schiena dal morbido schienale. Contempla la sua figura nello schermo della televisione spenta. Si intravede particolarmente vecchio.
«Ah! È l’ora della messa» esclama improvvisamente. Il pensiero, arrivato di colpo, si è subito tramutato in parole e si trasforma altrettanto velocemente in azione.
Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, utili più a saggiare la forza necessaria per riuscire nell’impresa, riesce a mettersi in piedi. Anche se con un bel po’ di fatica. Punta la radio e si avvia. Durante il tragitto, sette passi almeno, fissa i vari pulsanti. Individua quello dell’accensione e una volta arrivato lo preme con decisione.
Preferisce la radio, alla televisione, da sempre. Crede che sia l’unica a fare una vera compagnia, senza impegno. Senza chiedere nulla ti permette di far scorrere il tempo. La televisione, invece, è più arrogante. Impegna due sensi, vista e udito. Purtroppo anche il cervello. Inoltre il livello è più basso perché deve attirare più gente possibile, ha sempre sostenuto. La radio vuole solo l’udito e il livello è ancora di qualità. Questa è un’altra delle sue teorie.
Premuto il tasto d’accensione, non sente nulla. La vecchia radio che aveva prima era molto più semplice, la conosceva meglio. Questa nuova, secondo la sua logica, è complicata e lui fa fatica ad abituarsi alle novità.
Individuata la manopola del volume, la gira ed è un attimo: la stanza si riempie di tristissime e austere voci echeggianti.
«… il signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto…» e così via. La stanza si riempie di queste frequenze religiose, per contrasto, così poco angeliche. Quella atmosfera lo annoia subito e spegne quella noiosa nenia. Il suo livello di sopportazione è stato decisamente basso.
Torna il silenzio. Un sospiro di sollievo. Poi un senso di colpa. «È l’ora della messa!» si ritrova meccanicamente ad accendere di nuovo la radio. Tutto torna come un attimo prima. «… dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori…» e via dicendo. Solo che questa volta non è il coro delle donne ad arrivare alle orecchie di Antonio, bensì la voce severa e austera di un anziano parroco. Così se lo figura avendo come riferimento solo la voce.
Purtroppo, esattamente come prima, la cosa lo annoia.
«Signore perdonali, perché non sanno quanto sono noiosi!» e l’epilogo è lo stesso. Spegne la radio. Si avvia verso la poltrona con una convinzione: l’attesa del caffè verrà ingannata stando comodamente seduto sulla poltrona, cercando di non dormire, ma comunque in assoluto silenzio.
Michele, intanto, sta contemplando il muro. La caffettiera non è ancora sul fuoco. In cucina tutto è immobile.
«… il signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto…» e così via. Torna alla realtà. Sorride. Pensa ad Antonio che probabilmente cerca di ingannare il tempo accendendo la radio. Si alza per raggiungerlo nella sala che è ripiombata nel silenzio. Silenzio che però dura poco.
«… dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori…» e via dicendo.
Alla voce del parroco che incita alla preghiera per radio si unisce la voce di Antonio che borbotta qualcosa, uno dei suoi soliti lamenti.
Michele si affretta verso la sala con una frenetica curiosità.
Arriva nella stanza in tempo per vedere Antonio che armeggia ancora con le mani vicino a quel demoniaco marchingegno di fabbricazione cinese e non disdegna di mostrare il suo fastidio.
Michele sorride, si diverte parecchio a vederlo in azione senza essere visto.
«Antonio, posso farti una domanda?» chiede facendo capolino sulla soglia della porta.
«Non troppo impegnativa. Ancora devo prendere il mio caffè!» Antonio, dopo uno spavento iniziale per quella irruzione inattesa nella stanza, non si lascia sfuggire comunque l’opportunità per fare polemica.
Michele sorride e poggia una mano sulla spalla del vecchio, come a voler creare un momento di vicinanza.
«Ah! È l’ora della messa!» si avvia verso la radio.
«Aspetta…» Michele lo ferma. Senza dare spiegazioni, con dolcezza lo indirizza e lo accompagna alla poltrona. Distogliendolo dalla radio e dalla messa, per l’ennesima volta.
La manovra ha buon esito, contro ogni aspettativa. E, dalla faccia confusa di Antonio, si direbbe che è stata la sorpresa a sancirne la riuscita. Michele coglie la palla al balzo e parla.
«Perché ogni giorno accendi la radio e subito dopo la spegni?» Antonio è spiazzato da questa domanda.
«Be’… quando è l’ora della messa…»
«Sì. Però poi subito dopo spegni la radio. E questo ogni giorno».
I due restano a guardarsi. Michele ha uno sguardo più dolce. Antonio, invece, confuso, guarda il pavimento.
«Ogni giorno?» prova a ostentare un sorriso poco credibile.
«Sì».
Michele sente lo smarrimento di Antonio. Va a prendere una sedia per mettersi davanti alla poltrona e guardarlo negli occhi dalla stessa altezza.
«Non è possibile» afferma con lo sguardo di chi ha scoperto il tranello. Michele sa che dietro quella reazione c’è tanta incertezza.
«Io te lo vedo fare ogni giorno» ribatte convinto. Il sorriso convinto di Antonio mostra una crepa. «Accendo e spengo ogni giorno?» chiede.
«Sì»
«Ogni giorno, accendo e spengo?» richiede. Sembra quasi divertito dall’aver appreso quella sua piccola stranezza. Almeno si sforza di sembrarlo.
Michele fa sì con la testa.
«Allora mi sono proprio rincoglionito!» lentamente sembra realizzare. Pronuncia le parole come una presa di coscienza, per poi tornare a guardare il pavimento. Il momento appare estremamente serio.
«Non è possibile…» sussurra tra sé mentre scuote il capo.
Michele cerca le parole per sdrammatizzare e rendere il momento meno pesante.
«Non è possibile, è una bugia!»
«Ti dico di sì» dice Michele senza particolari emozioni nel tono della voce. «Sì, che mi sono rincoglionito?»
«No. No» si affretta a rispondere Michele che non può fare a meno di sorridere.
«Ogni giorno, accendo e spengo?» ripete Antonio, incredulo.
Michele fa di nuovo sì con la testa. Parlare gli sembra indelicato. Vede gli occhi di Antonio diventare lucidi, cosa che prontamente cerca di nascondere, tornando a fissare il pavimento. Tira su con il naso, sposta rapidamente gli occhiali e si passa il dorso della mano all’altezza degli occhi.
«Ma stai piangendo?» chiede Michele, facendosi avanti sulla sedia e sporgendosi verso l’indifeso Antonio, che gli sembra docile e vulnerabile. Avrebbe tanto voluto scegliere e trovare parole originali, quella che è venuta fuori è solo una domanda banale.
È mortificato, non dalla situazione, ma dal suo modo di agire in queste circostanze. Quando vorrebbe dare di più per gli altri, si trova soltanto a constatare la sua inadeguatezza. È sempre così difficile misurarsi con la vita.
da “Una mattina qualunque”, di Giovanni Gazzanni, Avagliano editore, 2021, pagine 144, euro 16