Dopo la prova ontologica dell’esistenza di Dio di Sant’Anselmo, il chupacabra e il delitto di via Poma, nella mia mente il più grande mistero irrisolto rimane come facciano i genitori che lavorano a partecipare alle riunioni di classe alle 17 di un giorno feriale.
C’è un’intera collezione autunno/inverno di sfondi pazzerelli di zoom, non si capisce se per far finta di essere al lavoro o a casa. Fatto sta che con una certa vergogna e con una certa apprensione aspetto il verbale della riunione, con quello stato d’animo proprio dello stare in caserma per una denuncia, fatta o subita non importa, cosa che mi sembra più un segno premonitore che altro.
Arriva il sacro resoconto, e siamo ancora ai monopattini che non si lasciano in giardino. Mio Signore, dammi la forza di non prendere tutti quei monopattini e farne un falò, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza di non lasciare tracce dell’incendio che appiccherò fuori da scuola. E fin qui tutto benino.
Ma, all’improvviso, il dramma. Le maestre si propongono di smantellare la separazione tra maschi e femmine e “la diffusione di stereotipi di genere”. Pare che i maschi dicano che il rosa è da femmine e che non vogliano giocare a pettinare le bambole. Dove sono le famiglie? È emergenza stereotipi? È entrata la filosofia gender nelle scuole? Questi bambini non hanno Twitter? Non seguono i profili attivisti, transfemministi, antispecisti su Instagram? Stiamo allevando il patriarcato, e io onestamente vorrei evitare di ritrovarmi la gente coi cartelli sotto casa.
Cos’è che fa dire ai maschi che le femmine sono inferiori? È biologia? È retaggio culturale? È vuoto delle istituzioni? Il mio metodo educativo empirico mi fa dire che tutto è solo scorpione e rana.
Io da bambina mi rifiutavo di mettere i pantaloni, mica volevo sembrare un maschio, ed ora eccoci qui a fare le giornate con i maschi in gonna al liceo. Lo sapevamo già che il mondo sarebbe finito così, non con un botto ma con una lagna, ma così sta diventando ingestibile.
Puoi crescere un “figlio femminista”, cosa oramai molto alla moda, così come è alla moda vestire i figli con colori neutri buttando via anni e anni di studi in armocromia, oppure lasciare ai maschi i capelli lunghi, se non per poi dare di matto se qualcuno scambia il bambino per una bambina; ma caro genitore progressista, se hai un figlio maschio odierà comunque le femmine, anche se a casa tua usate gli asterischi per dirvi che è pronta la cena.
Io già me li vedo i momenti di ribellione adolescenziale di questi figli, che se tanto mi dà tanto diventeranno tutti dei piccoli negazionisti dei diritti di chiunque anche solo per dispetto.
Idea per un film: famiglia con casa di proprietà in Piazzale Dateo manda il figlio in una scuola pubblica. Un giorno il padre legge il verbale di classe, prende il piccolo Paride (in Piazzale Dateo vanno molto di moda i nomi di antichi eroi) e gli dice: «Figlio mio, è vero che non vuoi giocare con le femmine?». Il bambino dice di sì, che le femmine sono diverse dai maschi, e il padre gli tira una serie di schiaffoni urlando che non bisogna avere stereotipi di genere. Per il finale scrivetemi in privato.