Milano, ore 6:40. Colazione con Aulin e caffè per festeggiare il più grande traguardo della giornata: alzarsi dal letto. È di nuovo quel periodo dell’anno, quello in cui lavoro sei, sette giorni a settimana, quello in cui entro in ufficio col buio ed esco col buio, non le conto le ore, perché non ho tempo di farlo.
Siccome la mia pazzia non si esaurisce nel giro di un quarto d’ora, aggiungo livelli di difficoltà per autosabotarmi, che comunque mantiene giovani: mangio i pancake proteici che cucino la domenica per tutta la settimana: li porziono, li congelo, li scongelo, non ho nemmeno il forno a microonde, applausi. Carboidrati netti a porzione: 3. Dov’è il mio Nobel adesso?
Non ho tempo, il che realizza un grande sogno di civiltà: non leggo niente. Niente Twitter, niente giornali, niente TG, niente, non so niente. Sempre per la questione dell’autosabotaggio, verso le 7:30 apro Twitter, leggo che Alessandro Barbero è un mostro e che Alec Baldwin ha ammazzato una persona sul set di un film western. Chiudo Twitter, vedi tu la bellezza di non avere tempo in un tempo strano.
Devo svegliare il bambino, prepararlo, portarlo a scuola, sono le 8, chissà se c’è un altro sciopero, un piccolo brivido, una protesta a cui aderire, chissà se Barbero è già stato crocefisso, dov’è il mio aumento, dov’è la mia spavalderia, dov’è il mio successo. Lancio il bambino in classe, ciao amore ciao, ci vediamo stasera, anzi stanotte, mi raccomando vai a dormire, «mamma guarda che è un reato se mi lasci dormire da solo», e io forse ho esagerato con questa educazione dove a un certo punto arriva sempre la polizia. Mi fermo in corridoio.
Siamo arrivati a questo punto perché ci hanno fatto credere che “il tempo di qualità” fosse la soluzione. Non lo è. Lo abbiamo raccontato ai genitori separati, ai genitori in trasferta, ai nonni che vorremmo vedere solo a Natale, è una questione di qualità, ma sono solo le 8 e già mi chiedo se ne valga la pena. Esco da scuola, mi scrivo «ricordati la qualità» nelle note del telefono, una signora mi urta e mi urla «stia attenta, sempre a guardare il telefono», mi fermo e a mia volta le urlo complimenti signora, ha appena privato il mondo di un premio Strega, ero quasi arrivata all’idea, e al posto dell’idea arriva lei con la sua bicicletta da marciapiede: effetto farfalla, niente milioni di copie vendute, niente diritti della serie tv, niente fascette da fotografare.
Prendo un altro Aulin, penso alla qualità. Vorrei stare a casa con mio figlio, cucinare crostate, comprare fiori, riscrivere “Mrs. Dalloway”, ovviamente migliorandolo, eccolo il mio premio Strega. Ma poi, di che cosa scriverei in pausa pranzo? Di quanto è offensivo chiedere alle persone che lavoro facciano perché magari non era quello che avrebbero voluto fare? Di quanto poco le persone chiedano «ma tu come stai veramente?» Perché è tutto diventato un’appropriazione indebita di traumi altrui? Si possono prendere 3 Aulin?
Abbiamo inventato il tempo di qualità per non morire di senso di colpa nei confronti dei nostri figli. Siamo delle eroine perché siamo madri e lavoratrici? È il secolo degli eroi con poco. La verità è che vorrei avere più tempo, anche di bassa qualità. Ma Harvard non si pagherà da sola. Chissà com’è finita la storia di Barbero.