I partiti frenanoDraghi deve dare un colpo di barra, la nave va troppo lenta

Il governo sembra aver frenato rispetto ai primi mesi, come se si fosse rilassato. La realtà è che ci sono molte incertezze, e la partita del Quirinale aggiunge altri interrogativi al quadro politico

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Forse i fatti smentiranno una sensazione che circola nel Palazzo, e cioè che la gioiosa macchina da guerra di Mario Draghi nelle ultime settimane abbia rallentato. Persino qualche ministro sta vivendo questa fase come meno produttiva, meno “creativa”, se così si può dire, rispetto al governo Draghi prima maniera. Come se fossimo già dentro il periodo pre-natalizio, si avverte un sentore di rilassatezza, di perdita di brio. Ma in realtà le feste di fine anno non c’entrano. È un’illusione ottica.

La verità è che tutta la politica, e quindi anche il governo, sentono l’avvicinarsi del big match quirinalizio che tutte le energia cattura come una calamita. Si assiste anche per questo ad una progressiva improduttività dei partiti che non aiuta. Ma Draghi dovrebbe continuare a fare Draghi, in fondo egli sta dove sta proprio grazie alla stasi delle forze politiche che si trascina da molto tempo.

Anche negli scorsi mesi i partiti erano tutti presi dalle loro vicende, ma Draghi governava persino meglio: perché dunque molti hanno l’impressione di un’incertezza, di un polso meno fermo, di una scarsa iniziativa dell’esecutivo?

Hanno colpito negativamente, in questo senso, alcuni episodi. L’accantonamento della riforma del catasto subito dopo le prime polemiche con un rinvio escogitato con la scelta della “mappatura” da realizzare in alcuni anni.

La stessa dinamica si è avuta sulle concessioni balneari; un pochino in più di dinamismo, ma giusto un pochino, si è visto sulle pensioni con una soluzione ponte – quota 102 – e poi l’anno prossimo si vedrà; il reddito di cittadinanza è cambiato ma resta, forse verrà riformato; la legge di bilancio è discreta ma certo non di svolta, e dentro questa il taglio sul costo del lavoro non si sa quanto porterà nelle tasche dei lavoratori; crescono i prezzi con il rischio di una relativa frenata dei consumi; sulle riforme istituzionali, boh, è tutto fermo; idem sulla Rai.

E, dulcis in fundo, ci sono svariate incertezze sulla lotta al Covid-19, antipasto di nuove polemiche, e una troppo blanda risposta alle scorrerie dei No vax. Non basta quindi il successo sulla scena europea e mondiale (G20 di Roma), soprattutto sotto l’aspetto dell’impegno e dell’immagine, per scacciare un senso di incompiutezza a riflettere le giornate piovose di questo novembre.

Certo, per ogni singola questione i tecnici spiegherebbero quali sono i problemi, gli ostacoli, come si intende procedere eccetera eccetera. E tuttavia il cittadino che deve andare in pensione tra due anni e che non è un tecnico di palazzo Chigi o degli uffici legislativi di Montecitorio resta abbastanza spaesato.

Mentre va verso una quarta ondata, il Paese rischia di avventurarsi nell’inverno 2021-22 avendo smarrito il filo del racconto del buongoverno di Draghi e dei suoi ministri – alcuni dei quali, soprattutto quei tecnici su cui molto si contava, non si sa bene di cosa si stiano occupando dato che nulla stanno comunicando al Paese.

È possibile che gli italiani, dentro una situazione che resta d’emergenza, non si sentano governati con quel senso di forza e autorevolezza che ha segnato sin qui l’esperienza del gabinetto di unità nazionale. Forse anche perché annusano il possibile abbandono della scena da parte di Sergio Mattarella, grande punto di riferimento, l’uomo che ha speso il suo grande prestigio per “coprire” questo governo.

Insomma, il pericolo di scivolare dentro la palude dell’immobilismo – al netto della inevitabile controffensiva sul fronte del Covid con la campagna per la terza dose – è realistico, complice l’egoismo di partiti protesi alla conquista della migliore posizione tattica in vista della partita del Colle.

Lo abbiamo già scritto: le spinte identitarie di Lega e Partito democratico, unite al perenne broncio di Giorgia Meloni e alla vaghezza di nuovi progetti riformisti, tutto questo contribuisce alla stagnazione del quadro politico. Non è da questi leader di partito che potranno venire contributi decisivi a ristabilire la forza della politica.

Sta dunque ancora una volta a Mario Draghi dare un colpo di barra a una nave che va troppo piano, sta a lui dare segnali per tranquillizzare un Paese che sta tornando sull’orlo di una crisi di nervi, produrre uno scatto di concretezza e di fattività. Alternative non ce ne sono, e se ci fossero sarebbero terribili.

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