«O abbiamo il green pass o decidiamo di tornare al coprifuoco». Il ministro Luigi Di Maio è il principale esponente di un movimento nato per essere diverso da quelli che l’avevano preceduto. I Cinquestelle esibivano la convinzione granitica nelle virtù della democrazia, la più radicale: uno vale uno, basta con le balle dell’establishment. Al fondo della loro comunicazione politica, sui temi più diversi, c’era l’intenzione di dimostrare l’inaffidabilità di élite totalmente autoreferenziali.
Ora il nuovismo è diventato paternalismo. Sono poche parole ma che rivelano alla perfezione le caratteristiche di un atteggiamento paternalista. Paternalismo è trattare le persone come un padre tratta i suoi figli, quindi semplificando il messaggio fino a scarnificarlo, trasformando questioni complesse in alternative tanto essenziali quanto fuorvianti.
L’alternativa, in questo caso, diventa quella fra il controllo del green pass – secondo le norme attualmente vigenti – e il ritorno del coprifuoco, stratagemma pensato per ridurre le occasioni di incontro soprattutto fra i più giovani nelle fasi di lockdown più duro.
Il buon padre di famiglia si sente legittimato, in nome del bene dei figli, che effettivamente sono figli suoi, a esercitare il ricatto e la minaccia, ma anche ad aiutarli ad aggirare gli ostacoli della vita. Altro che uno vale uno, il ministro Di Maio sembra aver riscoperto questo rapporto “paterno” con il corpo elettorale.
Attenzione però a non usare simboli e metafore che ci allontanano da ogni tentativo efficace di comprendere il mondo che ci circonda.
Perché abbiamo il green pass? Il governo stesso lo ha sempre presentato come un incentivo alla vaccinazione: limitare la possibilità di cenare al ristorante ai vaccinati con due dosi doveva indurre le persone a vaccinarsi, «un utilizzo ancora più significativo del green pass» (per citare il ministro Roberto Speranza) avrebbe dovuto spingere ancora di più nella medesima direzione.
L’obiettivo quindi non è il green pass di per sé ma portare le persone a vaccinarsi. I tassi di vaccinazione in Italia sono molto alti: oggi 46,6 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose del vaccino, che sono l’86,2% delle persone vaccinabili (54 milioni). Qualche ministro ha anche descritto il green pass come se proteggesse dai contagi in quanto tiene fuori i non vaccinati. Ma questa tesi non ha senso.
È merito del green pass il livello di copertura vaccinale raggiunto? Il governo sembra esserne convinto, in molti hanno invece sottolineato come il numero delle prime dosi somministrate negli ultimi due mesi sia in calo mentre al contrario crescono i tamponi, ai quali si sottopongono coloro che non vogliono vaccinarsi, per avere il green pass.
Ma, in un certo senso, non è importante che sia merito del green pass o meno. Ciò che conta è che gli italiani vaccinati siano tanti e probabilmente un numero sufficiente per mettere in sicurezza il Paese. Il che significa evitare situazioni come quelle che hanno spinto ai lockdown: cioè una pressione tale sugli ospedali da immaginare di non poterne preservare la capacità di cura.
Sicuramente non possiamo pensare di essere “fuori dalla pandemia”, ma questo ha poco a che fare con il green pass: attiene questioni assai diverse, come il funzionamento della memoria immunitaria rispetto ai vaccini ed eventuali nuove varianti, ovvero al contagio Covid; il tasso di vaccinazione non solo in Italia ma in altri Paesi; la tempestività con la quale riusciremo a proteggere con una terza dose di vaccino i più fragili e le modalità logistiche che sceglieremo di adottare; eccetera.
Attiene anche la tendenza della classe politica a eternare le misure emergenziali, per esempio continuando a sottoporre a un isolamento fiduciario persone che, pur vaccinate con doppia dose (e dal governo italiano!) e nonostante facciano un test Pcr prima di rientrare in Italia, arrivano da alcuni Paesi stranieri.
Questo però non significa che se non si proroga l’utilizzo del green pass ben oltre dicembre (come sembra essere l’intenzione di Di Maio) l’alternativa sia il coprifuoco. Sulla base di che cosa, di preciso, lo si dice? Quali sono gli scenari con cui si confronta il governo stesso? Se l’86% degli italiani sopra i 12 anni ha scelto di vaccinarsi, e la stragrande maggioranza di questi prima dell’introduzione del green pass, sulla base di quale argomento si pensa che, per esempio, essi lasceranno “scadere” la propria memoria immunitaria (ammesso e non concesso che il meccanismo di quest’ultima funzioni per tutti grossomodo alla stessa maniera) e sceglieranno di non fare la terza dose?
In realtà non sappiamo molto della situazione nella quale ci troveremo a gennaio.
Non è inverosimile ipotizzare un certo aumento dei contagi, con la brutta stagione. Non è detto che a essi corrisponda un aumento delle ospedalizzazioni, né dei casi più gravi. Non sappiamo quanta parte della popolazione italiana si sarà sottoposta alla terza dose, né se verrà confermata l’efficienza nelle somministrazioni dimostrata dal generale Francesco Paolo Figliuolo.
Quello che è abbastanza improbabile, però, è che una popolazione che si è vaccinata con una simile convinzione ed entusiasmo poi scelga, per esempio, di rifiutare la terza dose. O che ciò avvenga con tempi tali da determinare un sovraffollamento ospedaliero.
Peraltro, le persone sono provate da quasi due anni di paura e limitazione delle libertà. Non serve caricare la comunicazione di ulteriore terrore, rischiando di polarizzare ulteriormente la discussione sulla pandemia e sui vaccini.
Servirebbe, invece di una comunicazione direttiva e paternalista, trasmettere sicurezza (non certezza), cioè fiducia nell’efficienza delle istituzioni e cercando di sviluppare un sistema efficace per distribuire i nuovi vaccini e per intercettare alcuni milioni di persone che non sono intenzionate a vaccinarsi – e che nessun green pass convincerà mai – e che se ascoltate nei loro timori da medici preparati potrebbero cambiare idea. Se l’obiettivo è far vaccinare anche moti esitanti si può fare di meglio che imporre il green pass o minacciare.
Delle due l’una: o ci sono cose che Di Maio (o per lui il governo) sa e non dice, oppure, e crediamo sia più probabile, questa dichiarazione è un esercizio di semplificazione paternalista. Non, cioè, la semplificazione che serve a comunicare in modo corretto e comprensibile ai più una questione complessa. Ma quella che la riduce a termini ambigui, per ottenere in cambio obbedienza da parte delle persone. Fai il bravo o Babbo Natale anziché i regali ti porterà il carbone: siamo poco lontani di lì.
Senza pensare che uno valga uno, si potrebbe però convenire che l’individuo sia un buon giudice dei propri affari, tendenzialmente in questo almeno migliore di altri. Ciò implicherebbe un tentativo di semplificare, sì, ma per mettere le persone in condizione di valutare i rischi che corrono e adottare di conseguenza scelte di comportamento.
Invece si fa altro. Si prova a seminare paura per raccogliere obbedienza. Questo è abbastanza inaccettabile di per sé, in una società che voglia dirsi libera, ma è pure incomprensibile, alla luce della straordinaria prova di responsabilità e buon senso che hanno dato i tanti italiani che si sono vaccinati, di propria volontà e senza bisogno di minacce più o meno velate.