Sono ben 375 le persone uccise nel mondo per odio transfobico dall’1 ottobre 2020 al 30 settembre 2021, di cui la maggioranza assoluta sono donne trans. 25 casi di omicidi in più rispetto al precedente anno, che ne aveva registrati 350 e rispetto al quale c’è stato un incremento del 7%. È quanto emerge dall’ultimo report Trans Murder Monitoring (TMM) che, pubblicato ai primi di novembre di ogni anno a partire dal 2009, è curato dall’organizzazione non governativa internazionale Transgender Europe (Tgeu).
Non è un caso che tale raccolta dati sia sempre resa nota qualche settimana prima del 20 novembre, Giornata della memoria transgender o Transgender Day of Remembrance (TDoR). Celebrata per la prima volta nel 1999 e fissata in tale data da Gwendolyn Ann Smith, che la ideò istituendola in ricordo della morte di Rita Hester, donna transessuale afroamericana uccisa il 28 novembre 1998 ad Allston nel Massachusetts, l’annua ricorrenza si configura quale memoria attiva delle tante persone uccise per odio o pregiudizio transfobico. All’iniziale progetto web Remembering Our Dead si è aggiunta sin da subito una veglia a lume di candela, la prima delle quali si è tenuta nel 1999 a San Francisco. Attualmente il TDoR viene osservato in centinaia di città di oltre 20 Paesi ed è caratterizzato da una serie di eventi che, coprendo in taluni casi più giorni, sono volti non solo a commemorare le vittime di morte per transfobia ma anche a sensibilizzare la pubblica opinione sul dramma di chi è discriminata o subisce violenza per la propria identità di genere.
Sensibilizzazione e memoria non escludono, anzi postulano, riflessioni tali da poter fondatamente concludere che l’annuale enumerazione del Tgeu è solo la punta dell’iceberg: in molti Paesi, infatti, non c’è alcuna registrazione dei casi, dal momento che si tende a identificare le persone uccise per transfobia secondo il genere assegnato alla nascita e i relativi dati anagrafici. Il che, oltre a costituire l’ennesima violenza post mortem, impedisce di fatto che si abbia contezza del numero reale delle persone trans ammazzate nel mondo anno per anno. Non meraviglia pertanto che per il medesimo periodo 1 ottobre – 30 settembre di ogni anno i report cronologicamente compilati dal sito anglo-statunitense Translivesmatter sul modello Tgeu, ma da cui si discostano in alcuni punti, diano sempre di volta in volta un complessivo numero maggiore di persone trans uccise nel mondo.
Per quanto riguarda l’ultimo resoconto sono infatti 462 le vittime censite. Ciò si spiega alla luce dei criteri adottati da TLV nel compilare il proprio report, che amplia la classifica delle modalità di morte violenta, includendo, ad esempio, quelle collegate ai trattamenti sia carcerari sia medici e ai suicidi. È vero che per le tre categorie menzionate, salvo casi indubitabili, è poco agevole provare con assoluta certezza la correlazione tra odio transfobico e morti violente. Ma se ne può parlare, e a ragione, in senso lato soprattutto quando ci si riferisce ai suicidi: le persone trans, in particolare quelle più giovani, sono infatti particolarmente esposte, quando non indotte, a condotte suicidarie. Tra le 462 vittime, indicate dall’ultimo report di Translivesmatter, 44 quelle che si sono tolte la vita dall’1 ottobre 2020 al 30 settembre 2021.
Differenze a parte, i dati comuni di TGEU e TLV in vista dell’odierno Transgender Day of Remembrance mostrano che il 96% delle 375 persone uccise erano donne trans e il 56% lavoravano come prostitute con percentuali, inoltre, del 36 e del 24 circa il luogo in cui è avvenuto l’omicidio: in strada per la prima, in casa per la seconda. L’età media delle vittime risulta infine essere di 30 anni: la più giovane di esse ne aveva solo 13, la più anziana 68.
L’analisi dei medesimi dati secondo criteri geografici mette invece in luce come si siano avute 53 uccisioni nell’America del Nord (nei soli Stati Uniti), 311 in Centro e Sud America, 14 in Europa, 44 in Asia e uno solo in Africa (Malawi). Ciò significa che il 70% degli omicidi registrati sono avvenuti in Centro e Sud America mentre il Brasile con 125 casi, pari al 33% del totale, continua a detenere un triste primato mondiale. E se in Europa il 43% delle persone trans uccise erano migranti, negli Usa i relativi omicidi sono addirittura raddoppiati rispetto allo scorso anno: delle 53 vittime ben l’89% risulta costituito da donne trans nere. Per quanto riguarda l’Italia c’è da rilevare che il Bel Paese si attesta al terzo posto dopo Turchia e Francia con due casi. Anche se in realtà, stando al computo più pertinente di TLV che censisce cinque assassinii, deterremmo ancora una volta la seconda postazione.
Ma è la stessa Italia che vede ormai da anni coinvolte numerose città in manifestazioni per la Giornata della Memoria transgender. Punto centrale delle celebrazioni è indubbiamente quella Trans Freedom March che, ideata nel 2014 a Torino da Sandeh Veet, presidente di Sunderam Identità Transgender Onlus, e giunta alla 7° edizione, si terrà oggi pomeriggio nella capitale col coinvolgimento di tutte le associazioni trans nazionali e al grido di “Mi rivolto, dunque siamo”. Una marcia dal chiaro valore unitario. Ma anche dal forte significato politico dopo quell’affossamento del ddl Zan, che, accompagnato dal vergognoso boato d’esultanza del centrodestra, è stato preceduto per mesi dalla svilente polemica sul tema di un diritto fondamentale della persona qual è l’identità di genere secondo la sentenza 180/2017 della Corte Costituzionale.
Come dichiarato a Linkiesta da Cristina Leo, psicologa, attivista trans ed ex assessora alle Pari Opportunità del Municipio VII di Roma, che alla realizzazione Trans Freedom March odierna ha dato un contributo fondamentale, «oggi marceremo non solo per commemorare ma anche per ricordare che dietro le falsità ideologiche diffuse dal Vaticano e dalle destre, ma anche da alcune persone che si definiscono femministe, ci sono delle persone incarnate, che vivono in un clima di transfobia sociale e istituzionale. Noi non siamo l’ideologia del Gender come non siamo dei cartoni animati che cambiano genere bagnandosi con l’acqua fredda o con l’acqua calda. Siamo persone, personalità e corpi, che hanno compiuto dei percorsi di transizione, sottoponendoci spesso a lunghi e difficili percorsi per ottenere autorizzazioni psicologiche, psichiatriche e giuridiche. Il problema. è che di queste visite noi ne abbiamo fatte troppe e chi è in parlamento ne ha fatte troppo poche».
Le fa eco Daria Fratus, attivista e poeta bergamasca, che commenta al nostro giornale: «Che dire del TDoR, che dire di questa ricorrenza che cade lo stesso giorno della Giornata mondiale dell’infanzia, decretata dall’Onu a seguito dell’approvazione della Carta dei diritti fondamentali del fanciullo? Che è importante oggi più che mai dargli il giusto risalto, specie dopo l’aborto, e sottolineo aborto, del ddl Zan al Senato della Repubblica grazie a una classe politica, la più scadente dall’epoca giolittiana e fra le peggiori d’Europa, in cui neanche il Partito Democratico, la roba più a sinistra che c’è, ha la forza di fare da frangiflutti, da argine democratico appunto, alla deriva antistorica, antiumana in atto da troppo tempo ormai. I diritti fondamentali della nostra comunità sono dei feti abortiti in questo paese. Ma non ci saranno veglie di sette ultracattoliche a piangerli».
Come sottolinea sempre Daria, le persone trans «in buona sostanza si sono rotte di essere cancellate dalla mappa della piena dignità umana. Bisogna smetterla di perpetuare la comfort zone della discriminazione, della violenza e dell’umiliazione. In famiglia, per strada, a scuola, sul lavoro e nelle altre istituzioni più o meno totali che ospitano pezzi della nostra vita. Buon TDoR, dunque, e che sia, perché no, un TDoR incazzato e quel filo antifascista che non guasta mai».