Contro il bipopulismoUn’alleanza di tutti i riformisti è sempre più concreta, dice Matteo Renzi a Linkiesta Festival

L’ex presidente del Consiglio è stato intervistato dal direttore de Linkiesta Christian Rocca, dalla giornalista Simonetta Sciandivasci e dal presidente del Linkiesta Club Sergio Scalpelli

Gaia Menchicchi

Al teatro Parenti, Matteo Renzi, si mostra ottimista per il futuro di una coalizione riformista. Ospite del direttore de Linkiesta Christian Rocca, della giornalista Simonetta Sciandivasci e del presidente del Linkiesta club Sergio Scalpelli, l’ex presidente del Consiglio ha affrontato subito uno dei temi che Linkiesta sta portando avanti da tempo, una vera alleanza contro il bipopulismo di Lega e Movimento 5 Stelle: «I ragionamenti per costruire un fronte unito contro il bipopulismo sono più avanti rispetto a un anno fa perché c’è un fatto nuovo: il governo Draghi. Il nuovo esecutivo ha innescato un meccanismo che porterà alla creazione di un movimento diverso, europeo, seguendo il grande esempio di Renew Europe, il gruppo di Emmanuel Macron, che per noi è un esempio da seguire e da portare anche in Italia. In questo senso la notizia che Carlo Calenda lascerà i socialisti europei per integrare Renew Europe è ottima, e testimonia questi passi in avanti».

Secondo Renzi, Italia Viva ha avuto un grande merito, quando «contro tutti», ha deciso di far cadere il governo Conte e creato le condizioni per l’arrivo di un esecutivo diverso: «Abbiamo portato Draghi a palazzo Chigi, questo è un fatto che nessuno può mettere in discussione e non fa niente che non mi venga riconosciuto da gran parte dell’opinione pubblica, a me conta il risultato non essere simpatico. E i risultati si vedono: c’è Figliuolo al posto di Arcuri; il paese crescerà del 6% contro il 4% delle prime previsioni, Alfonso Bonafede è tornato a fare il dj e al suo posto c’è Marta Cartabia, e lo standing internazionale dell’Italia è di nuovo al livello che merita».

Il leader di Italia Viva ha anche parlato del suo vecchio partito, con cui è alleato al governo ma entra spesso in conflitto, come accaduto sulla legge Zan. «Il Pd è il partito del blablabla, gioca a tentare di dividere le persone che ha accanto, pur di arrivare a questo risultato sacrifica i veri risultati. Sul ddl Zan hanno discusso di argomenti, sventolato la bandierina senza portare nulla a casa. Lo avevano fatto sui Pacs e sui Dico, senza riuscire ad approvarli, mentre io, quando ero al governo, sulle unioni civili ho messo la fiducia e il mio governo ha fatto avanzare il paese. Per questo non accetto lezioni sui diritti civili da nessuno, dal Movimento 5 stelle che aveva addirittura votato contro ancora meno. Il Pd è un partito pieno di amici, ma deve decidere cosa fare da grande: hanno scelto i grillini come compagni di viaggio a Bruxelles, scegliendo quindi persone come Paola Taverna, che nella scorsa legislatura faceva campagna contro l’euro».

Sollecitato sulla riforma della legge elettorale, di cui in queste settimane discutono i partiti, il senatore ha detto di non sapere bene cosa accadrà in Parlamento. Ma su una cosa si mostra convinto: «Io penso che servirebbe una riforma costituzionale. So che sembra un messaggio da meme, però a un certo punto ci accorgeremo che ne abbiamo bisogno. Non serve a Italia Viva, ma all’Italia, un sistema con il monocameralismo, il doppio turno e il maggioritario».

Matteo Renzi non ha evitato di affrontare le polemiche e le critiche di chi lo accusa di svolgere delle conferenze retribuite da Stati stranieri da parlamentare in carica. Renzi ricorda che è assolutamente legittimo fatturare queste collaborazioni, e «Finché una cosa è consentita in uno stato liberale io mi attengo alle regole. Mi attaccano su tutto, sulle riforme che ho fatto, sulle mie posizioni politiche, e ora anche sulle conferenze, non c’è una questione di opportunità di comportamenti secondo me. Se si ritiene necessario cambiare la legge, e fissare una incompatibilità tra il ruolo di parlamentare e la professione privata, come accade per i membri del governo, io ci sono. Ma finché non si interviene io continuerò a lavorare, perché la legge lo consente».

Sul Quirinale, Renzi dice di non avere ancora un nome, perché la candidatura è la conseguenza di un percorso, che spera di poter fare in Parlamento se le altre forze politiche rinunciano allo scontro: «Ci troviamo di fronte a un passaggio storico che non si affronta mettendo le bandierine ma creando le condizioni del consenso sulla candidatura che nel momento dell’elezione risulta più forte. Nel 2013 Pierluigi Bersani ha combinato un pasticcio, bruciando prima Franco Marini e poi Romano Prodi, per poi rimediare con la rielezione di Giorgio Napolitano per mancanza di alternative. Ecco, tutta la narrazione sui 101 serviva a coprire questo fallimento. Voglio dire che Italia viva non vuole essere l’ago della bilancia ma vuole cercare di trovare un percorso per ascoltare anche le ragioni degli altri e fare una scelta condivisa. L’importante è riuscire a tenere coperti i nomi forti coperti finché non si materializza un consenso su un nome, l’elezione del presidente della Repubblica è il trionfo della politica sul populismo».

L’ex presidente del Consiglio ha anche affrontato il tema della riforma della giustizia: «In tutto il pianeta le correnti contano soltanto nel Pd e nella magistratura. E mi stupisce quando il capo di magistratura democratica dice che bisogna stendere un cordone sanitario intorno a me, è una cosa assurda che dovrebbe indignare. Credo che la vera riforma della giustizia debba vertere sulla meritocrazia, chi fa carriera deve farla perché capace, non perché appartenente a questa o quella corrente. Spero che la prossima elezione del Csm, a trent’anni da Mani Pulite, segni un nuovo inizio in questo senso».

 

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