Un racconto di parte. Una strumentalizzazione femminista. Un’ideologizzazione di fenomeni criminali comuni. C’è in campo tutta una serie di interpretazioni che vorrebbero affermare l’inutilità della lotta alla violenza sulle donne, un negazionismo che finge di non dover fare i conti con un fenomeno sistemico e strutturale evidente.
I dati sono chiari, e allarmanti: una donna su tre è vittima di violenza e sono 89 le vittime di violenza di genere ogni giorno. Dietro c’è un atteggiamento culturale difficile da scalfire, come dimostra una indagine Istat del 2018, per la quale secondo il 39,3% degli intervistati una donna avrebbe potuto sottrarsi alla violenza se lo avesse voluto, e il 24% riteneva che una donna potesse “provocare” una violenza per come era vestita.
Le iniziative legate al 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, allora non sono solo necessarie, ma fondamentali, e soprattutto sono fondamentali i lavori che vengono fatti, ogni giorno, per contrastare quella che è una piaga della società contemporanea.
Da Milano, parte “To fight violence against women”, iniziativa che spicca tra le altre proprio per essere costruita su quel connubio di pragmatismo e innovazione, nel dna della metropoli. È infatti un altro tassello del progetto TogetHer, un calendario di attività ad alto impatto sociale sul territorio milanese, realizzate per raccogliere fondi, sensibilizzare, divulgare la cultura del rispetto e di contrasto alla discriminazione, promosso da Associazione per Milano e Fondazione di comunità Milano, con il patrocinio del comune.
Anna Maria Tarantola, presidente di Associazione Per Milano, è stata molto chiara nel tracciare in maniera lucida quanto puntuale il problema e le sue ramificazioni inquadrandolo come problema culturale: «La violenza sulle donne è sintomo di un rapporto uomo donna insano, lontano dalla parità».
Proprio nella parità trova infatti fondamento la lotta contro la violenza sulle donne. È la base da cui partire, perché per incidere sulla lotta alla violenza bisogna incidere sulle disuguaglianze, e dunque agire su quella cultura della donna oggetto al servizio dell’uomo.
Paola Profeta, professoressa del dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi, è intervenuta sull’argomento e ha segnalato la posizione critica dell’Italia secondo l’annuale rapporto Global Gender Gap: 63sima su 156 Paesi e con una caduta al 114simo posto quando si prende in considerazione la sfera economica. «In Italia abbiamo un tasso di occupazione femminile intorno al 50%, che precipita al 33% se consideriamo solamente il Sud».
Sull’importanza del lavoro come strumento fondamentale per l’indipendenza economica e la riduzione del gender pay gap come punti cardine alla lotta contro la violenza di genere si è espressa anche Alessandra Kustermann, direttrice del reparto ginecologia e ostetricia dell’Uoc di pronto soccorso e soccorso violenza sessuale e domestica dell’ospedale Policlinico di Milano: «Ci dimentichiamo sempre che sono le condizioni economiche e sociali a determinare la possibilità delle donne di andarsene di casa».
Se l’occupazione femminile e la lotta all’abbandono del lavoro rappresentano un fronte di questa battaglia, bisogna porsi un’altra domanda: come si cambia la cultura della donna-oggetto? Con la comunicazione e la formazione a partire dalle scuole, certo, e la prevenzione che è imprescindibile, come ben illustra il magistrato Fabio Roia, ma bisogna considerare anche l’altro attore della violenza. Non la vittima, ma il soggetto che la compie.
Proprio questo è il fulcro del progetto Su un altro piano, vincitore del bando promosso da TogetHer, e proposto da Cipm, e si colloca nella scia del protocollo Zeus, per la rieducazione dei soggetti maltrattanti.
È importante sottolineare come il trattamento degli autori di violenza è una tutela per la vittima. La vittima non viene allontanata dalla sua casa dal suo ambiente, ma prevede invece l’allontanamento del maltrattante, che però non viene abbandonato ma aiutato a capire dove sta sbagliando e i reati che sta commettendo. Wasi, promosso dall’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo, ha proposto invece uno sportello psicologico per donne migranti in lingua madre, che conoscano la lingua e la cultura di origine, e dunque capire i contesti e le problematiche con cui vengono a contatto.
“To fight violence against women” è stato un racconto della situazione italiana, ma ha fatto un ulteriore passo in avanti, perché ci mostra il problema ma anche la strada da intraprendere, concretamente, progetto su progetto, per trovare la soluzione.
In questo solco si sono inseriti il contributo dell’assessora ai Servizi civici e generali del comune di Milano Gaia Romano, ma soprattutto quello della ministra per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti, che ha presentato la nuova strategia contro la violenza del piano nazionale, e coincide con quello che l’Associazione Per Milano propone: l’attenzione all’indipendenza economica come mezzo di contrasto alla violenza e un impegno coordinato tra tutte le istituzioni coinvolte, magistratura, sanità, centri antiviolenza e il mondo delle associazioni.