Fascino FintechPerché Millennial e Gen Z stanno investendo in criptovalute e Nft, nonostante i rischi

Le giovani generazioni si rivelano molto attratte dal mondo della finanza digitale: la ritengono più accessibile della finanza tradizionale. Accade anche in Italia, un paese con una scarsa alfabetizzazione finanziaria e una regolamentazione praticamente nulla

Lapresse

Il fascino delle criptovalute e delle nuove tecnologie basate su blockchain ha catturato i Millennial e la Generazione Z. Molti giovani si stanno dimostrando inclini a investire in finanza decentralizzata – conosciuta anche come DeFi, Decentralized Finance – cioè una forma sperimentale di sistema finanziario che non si basa su intermediari ma prevede un accesso diretto dell’utente al mercato.

Chi punta su Bitcoin, Ethereum e altre altcoin però non cerca necessariamente un profitto immediato, di solito si pone anche traguardi di lungo termine: molti sono convinti che le criptovalute e la blockchain siano il futuro della finanza.

Il Financial Times ha pubblicato un lungo articolo firmato da Lucy Kellaway per parlare della straordinaria diffusione del mondo crypto tra i ragazzi delle scuole del Regno Unito. «Non è difficile capire come sia accaduto: c’è il linguaggio cool della tecnologia e l’hype creato a dai social network. Le valute digitali sono antigovernative e ribelli, promettono denaro facile e istantaneo. Bitcoin è passato da 600 a 45mila dollari in cinque anni, un aumento del 7.400%, e per la mente degli adolescenti inesperti questa è la prova necessaria che la crescita continuerà anche in futuro», si legge sul quotidiano economico.

La realtà descritta dal Financial Times è già presente anche in Italia. «I Millenial e in particolare la Generazione Z sono sempre più vicini al mondo delle cripto, un po’ per natura e un po’ perché molti giovani sono spinti ad investire nelle tecnologie più vicine al loro modo di vivere e vedere il mondo, sicuramente più affine alle criptovalute e alla blockchain rispetto alle opzioni di investimento più tradizionali», dice a Linkiesta Alessio Semoli, presidente di Prana Ventures (il primo Operational Venture Capital italiano, che supporta gli imprenditori del settore digitale).

L’interesse di queste generazioni per le criptovalute non è solo una moda. C’entra anche la prospettiva futura offerta da un settore che promette nuove opportunità di lavoro: già oggi molte aziende cercano esperti di Nft (Non-Fungible Token), programmazione, semplici consulenti del mondo Fintech.

Meno di un mese fa GameStop ha pubblicato un annuncio di lavoro alla ricerca di un ingegnere software senior per una possibile piattaforma NFT. L’annuncio seguiva un’offerta simile da parte di Reddit: il sito americano di aggregazione e discussione di notizie sociali era alla ricerca di un ingegnere software senior per una piattaforma che presenta «beni digitali supportati da NFT». E quasi contemporaneamente Amazon Web Services si era messa alla ricerca di uno specialista di servizi finanziari, che andrebbe a collaborare con figure senior nelle grandi aziende per «stravolgere il modo in cui si scambiano gli asset digitali».

Se da un lato c’è chi decide di costruirsi un futuro nel mondo delle criptovalute e delle blockchain, dall’altro c’è anche chi vuole investire nel settore immaginando investimenti più semplici e ritorni sicuri.

«I ragazzi sono così appassionati a questo nuovo mondo che spesso riescono a convincere i genitori o altri adulti, molti dei quali sono finanziariamente inesperti, a creare un account per loro. Altri acquistano la moneta presso gli sportelli automatici o scambiano carte regalo Amazon con bitcoin. Ma anche i più bravi non sempre sono consapevoli del fatto che stanno rischiando somme che la loro famiglia non potrebbe permettersi di perdere», scrive il Financial Times.

Uno dei rischi maggiori in questo campo è l’elevata accessibilità: i percorsi di investimento tradizionali in genere hanno barriere di accesso più alte – almeno nell’immaginario collettivo – mentre nel mercato digitale può entrare chiunque (sempre perché così viene dipinto questo mondo).

E sotto questo aspetto l’Italia sconta un ritardo non da poco. «Da recenti ricerche di Banca d’italia gli Italiani mediamente hanno una scarsa conoscenza in competenze finanziarie, e un’indagine Ocse ci posiziona al penultimo posto nella lista dei 26 Paesi», dice Alessio Semoli.

L’elevata accessibilità e la scarsa alfabetizzazione finanziaria creano un mix potenzialmente molto pericoloso.

Per questo gli esperti di Prana Ventures e altre aziende del settore stanno organizzando dei Live Talk destinati proprio alla fascia d’età dei Gen Z e dei Millennial, con nuovi format dedicati a Nft, Cryptocurrency, e Blockchain.

«La criptovaluta è un investimento che può dare importanti ritorni in tempi brevi, per questo è molto ricercata, ma è uno strumento molto rischioso per la sua volatilità e per la mancanza di regole chiare sul suo utilizzo», spiega Semoli. «D’altra però – prosegue – dobbiamo essere consapevoli che a livello mondiale si dovrà prima o poi fare i conti con questa nuova finanza in cui il Bitcoin ha una capitalizzazione di mercato superiore ai 1000 miliardi di dollari. Dal mio punto di vista la conoscenza e la consapevolezza sono gli strumenti necessari per qualsiasi cosa, soprattutto nella tecnologia ed ancora di più nel caso dell’incontro tra nuove tecnologie e finanza».

Tra l’altro in Italia, come in molti altri Paesi (quasi tutti), a livello legislativo non esiste ancora una specifica regolamentazione finanziaria e fiscale delle criptovalute: attualmente ci sono delle regolamentazioni che vedono le crypto come valuta estera, quindi l’investimento è considerato come se fosse una transazione di borsa e viene tassato a livello di plusvalenza al 26%, soltanto per transazioni superiori ad un valore di 51.645 euro.

Anche il presidente della Consob, Paolo Savona, recentemente ha spiegato che «gli Stati e le authority devono fare uno sforzo per riuscire a integrare le criptovalute nel loro quadro istituzionale e normativo, superando l’inadeguatezza delle loro conoscenze».

Poche settimane fa molti investitori del settore hanno assistito ai pericoli di un ambiente ancora poco conosciuto. Lo scorso 20 ottobre era stato creato un token – un gettone digitale – non ufficiale della serie tv “Squid Game” (la serie di successo sudcoreana) che avrebbe dovuto permettere l’accesso a un «pay-to-play» – un gioco online a cui si accede dopo aver acquistato il gettone.

Dopo essere cresciuto del 310mila%, arrivando a valere 2.861 dollari, con un market cap di 2,1 milioni di dollari, lunedì 1 novembre il valore del token è precipitato a 0,003 dollari perché Twitter aveva limitato temporaneamente l’account della criptovaluta per «attività sospette». L’operazione si è rivelata un grande “rug pull”: in buona sostanza, gli sviluppatori della criptovaluta hanno abbandonato il progetto e sono scappati con i soldi degli investitori.

Una prova del rischio di investire in qualcosa che non si conosce fino in fondo, senza regole certe da seguire, con una enorme quantità di denaro in gioco.

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