“Tutto bene, ragazzi?”.
Se fosse possibile rivolgersi direttamente alla comunità crypto, è questa la domanda che sceglierei. Perché il settore che va dalla blockchain alle criptovalute è una cosa davvero strana: alle volte suscita l’invidia di chi non ha investito nel momento “giusto”, pur conservando tutte le caratteristiche della ciofeca da cui tenersi a debita distanza. La realtà deve trovarsi da qualche parte nel mezzo.
L’ultima settimana crypto, ad esempio, è stata vissuta all’insegna di un cubo. È un cubo molto grande, val la pena sottolinearlo, fatto di tungsteno, un materiale resistente e pesante. È da qualche settimana che la community legata agli Nft, i Non-Fungible Token di cui si parla da tempo, si è ossessionata con questi oggetti, causando un aumento delle vendite di cubi di tungsteno del 300% – e ispirando una bufala su una carenza globale di questo materiale causato dalla moda. Da cosa è nata cosa, come succede in un settore in cui investire su una valuta creata per scherzo come Dogecoin può renderti ricco; e da una battuta su Twitter è nato un business incredibile.
Cercando di razionalizzare questa goffa corsa all’oro, potremmo vedere i cubi come un tentativo di materializzare gli Nft: acquistando uno di questi token, del resto, si compra soltanto la possibilità di legare – attraverso la blockchain, ovviamente – il proprio nome a un’immagine. Immagine che, sia chiaro, rimane visibile – scaricabile, stampabile – da chiunque altro.
E poi è arrivato IL cubo. Un cubo più grande, sempre di tungsteno, da 907 chili, la cui proprietà è stata messa in vendita su OpenSea, il mercato digitale degli Nft: l’offerta di partenza è di 47,74 Eth (Ethereum), ovvero circa 200mila dollari. Il vincitore non possederà il cubo, né potrà tenerlo con sé a casa: perfetta metafora degli Nft, il cubo rimarrà invece in una stanza in quel di Willowbrook, paesino dell’Illinois.
A inventarsi questa meravigliosa fregatura è stata la Midwest Tungsten Service, che da anni produce oggetti di tungsteno e che nell’ultimo mese si era ritrovata senza materiale per la loro produzione, a causa dell’incredibile cripto-domanda. Decisa a surfare l’onda alta di questa moda, la Mts ha prima cominciato ad accettare criptovalute per gli ordini online e poi organizzato l’asta del Cubo. Al vincitore la possibilità di visitarlo – e toccarlo – una volta all’anno, sotto il controllo di un responsabile aziendale.
Siamo alla follia, ma anche alle solite per questo settore ricchissimo e sfrenato, il cui destino oscilla tra l’ennesima bolla e il nuovo ordine mondiale. Pur accettando che criptovalute e Nft siano i fondamentali del mondo futuro, rimane una domanda: quando smetterà, tutto questo, di sembrare una truffa? Mettere all’asta del tungsteno conservato in un magazzino del Midwest americano è un colpo di genio finanziario o un episodio maniacale di cui rideremo tra qualche anno, guardando un film ispirato al Cubo, a Dogecoin o a uno di quei orridi Nft che viene venduto a prezzi insensati? O, ancora peggio, entrambe le cose?
La finanza fattasi meme ha creato uno spettacolo assurdo, “staccando” il denaro dall’idea comune e universale, come ha scritto Max Read sul New York Magazine. «Gli Nft e le azioni-meme e le cripto-civiltà non sono solo i prodotti di nuove tecnologie impazzite o di vecchie dinamiche finanziarie con nuovi vestiti addosso», scrive Read. «Sono i sintomi morbosi di un interregno durante il quale il ruolo e l’identità del denaro nelle nostre vite e nella politica stanno cambiando».
Non una bolla né il futuro, quindi, ma un interstizio angusto dal quale dobbiamo ancora trovare una via d’uscita. Un cripto-limbo. Tutto questo ricorda quello che scriveva Gramsci a proposito di fasi storiche come la nostra: «Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri». Nel nostro chiaroscuro finanziario, per ora, vanno forte anche i cubi.