Installazione permanenteI musei privati e il merito di portare l’arte dove lo Stato non lo fa

Spesso le collezioni raccolte da ricchi appassionati vengono aperte al pubblico e diventano centri di cultura e di conoscenza all’avanguardia. Come ricorda la giornalista Georgina Adam nel suo ultimo libro (pubblicato da Johan & Levi), danno vita a centri culturali vivaci e moderni, facendo la differenza soprattutto nelle aree depresse

Fabio Ferrari - LaPresse

C’è una gran bella differenza tra collezionare per se stessi e la propria casa e decidere di esporre le proprie raccolte in uno spazio accessibile al pubblico. È una scelta che, automaticamente, comporterà ulteriori decisioni sulla destinazione ultima del patrimonio familiare e sul coinvolgimento (o meno) degli eredi. Ma ha un impatto anche sul modo di collezionare: una raccolta personale ed eccentrica è una cosa, ma spesso, quando un collezionista acquista per un “museo” o per uno spazio privato, cambia punto di vista perché guarda le opere anche con gli occhi del pubblico e può ritrovarsi a cercare di “colmare lacune” anziché comprare semplicemente ciò che gli piace.

In un’intervista del 2019 Christoph Becker, direttore del Kunsthaus Zürich, ha dichiarato:

Finché [la collezione] resta nella tua casa o in un caveau, rimane una questione privata, ma nel momento in cui si rende accessibile le cose cambiano. Non è più soltanto un dialogo tra te e il mondo dell’arte, ma anche tra i visitatori e l’opera… Il pubblico prende ciò che hai costruito tu e lo consuma, finché non è più tuo.

Mera Rubell mi ha confidato:

Mi vien da dire che quando abbiamo aperto al pubblico la collezione la cosa ci ha completamente paralizzati. Ci ha bloccati perché pensavamo a tutte le opere d’arte che non avevamo, e questo per un po’ ci ha tolto tutto il gusto del collezionare. Non riuscivamo a essere noi stessi. La gente entrava e chiedeva: “Dov’è il [Jasper] Johns?” – e noi avevamo in mostra Keith Haring. Ma un giorno abbiamo fatto una riunione di famiglia e ci siamo detti: “Dobbiamo celebrare ciò che siamo”. Ed è quello che facciamo.

Secondo lo storico dell’arte e curatore Maxwell Anderson, le motivazioni sono sempre complesse: è la commedia umana, la gente ha impulsi e intenzioni imprevedibili. I Rubell sono amanti dell’arte che vogliono vedere la propria collezione nello spazio pubblico; certo, non è che non si divertano, ma il valore generale che la raccolta ha per il pubblico è decisamente superiore al valore che ha per loro.

Le tante variazioni sul tema del “restituire valore alla comunità” sono la motivazione più citata dai fondatori di museo che ho incontrato.

Christen Sveaas mi ha spiegato perché ha scelto una località fuori Oslo come sede per The Twist: «Sono convinto che se hai avuto successo dovresti aiutare anche gli altri ad avere successo, questa è la gioia più grande» ha detto. «Volevo legittimare il fatto di aver avuto fortuna restituendo qualcosa».

C’è poi il genuino desiderio di dare spazio all’arte contemporanea e agli artisti in paesi in cui lo Stato non è nella condizione di sostenere i musei. In posti come l’India, l’Indonesia o il Bangladesh i musei privati sono essenziali per dare visibilità all’arte contemporanea in assenza di un supporto e di un interessamento governativo.

In Italia l’arte contemporanea è largamente ignorata dalle istituzioni pubbliche, che lasciano a enti privati, come l’acclamata Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, il compito di colmare questo vuoto. In molti casi, tra l’altro, questi musei dispongono anche di programmi formativi, compensando la carenza di offerta nel settore pubblico.

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La fondazione torinese di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo rappresenta un modello esemplare di mecenatismo, di ambizioni educative e di supporto agli artisti. Queste le sue parole sul momento dell’inaugurazione, nel 1995:

In Italia, a parte un importante museo di arte contemporanea che è il Castello di Rivoli, non esistevano ancora istituzioni specificamente dedicate alla nuova generazione di artisti. Mi sono resa conto che se volevo essere qualcosa di più di una semplice collezionista, se volevo essere maggiormente in prima linea, la soluzione non era costruire una casa per la mia raccolta, ma volevo dare a tutti l’opportunità di imparare di più sull’arte contemporanea. Soprattutto perché in quel momento c’era veramente poca consapevolezza in questo settore.

Negli anni trascorsi dall’apertura, venticinquemila bambini hanno partecipato alle attività del suo dipartimento didattico, dove lavorano ben sei persone. Ora, racconta Sandretto, le capita di incontrare adulti che, dopo aver visitato la fondazione da piccoli, tornano con i loro figli.

da “L’inarrestabile ascesa dei musei privati”, di Georgina Adam (traduzione di Mariella Milan), Joahn & Levi, 2021, pagine 96, euro 13

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