Quella faccia di bronzo di Luigi Di Maio ha applaudito al Quirinale Draghi, Mattarella e Macron con un trasporto che per intensità e passione ha ricordato quello tributato da certi attuali dirigenti antirenziani del Pd quando Renzi era segretario. Ieri, alla Festa del Foglio, Di Maio ha anche salutato gli sconcertati lettori del giornale che fu di Giuliano Ferrara come se fosse un vecchio fogliante, un garantista doc, un veterano di mille battaglie per la giustizia giusta, per lo Stato di diritto e contro la gogna mediatica.
Malimorté!
Di Maio è stato fino all’altro ieri il capetto di un movimento antipolitico e antidemocratico scelto da Casaleggio senior per svillaneggiare le istituzioni repubblicane, mutilare il Parlamento e sostituire il discorso pubblico con gli algoritmi addestrati dalla scemenza artificiale.
Per questo, nel metaverso di Di Maio è normale chiedere l’uscita dall’euro gestito de Mario Draghi, invocare l’impeachment di Sergio Mattarella e sostenere i fiers garçons in gilet gialli che prendevano d’assalto i palazzi della Repubblica francese di Emmanuel Macron, e poi applaudire senza un briciolo di decenza Draghi, Mattarella e Macron e sostenere Draghi ancora a Palazzo Chigi, Mattarella di nuovo al Quirinale e dare indicazione di voto per Macron all’Eliseo.
Il mondo di Di Maio è lo stesso metaverso in cui fino a un paio di anni fa cercava alleanze strategiche con i partiti più estremisti d’Europa, diciamo anche fascisti, e di entrare nella famiglia dei nazional-sovranisti al Parlamento di Bruxelles, con Nigel Farage e gli indipendentisti della Brexit, e ora pensa di andare a braccetto con i socialisti.
La disinvoltura di Di Maio e la sua impermeabilità all’indecenza sono tali da non lasciare dubbi a chi giudica la giravolta ideologicamente rispettabile comunque come un fatto positivo, come la prova di una grande capacità di crescita, come un esempio di maturità politica.
Per fortuna c’è anche chi non è convinto che Di Maio sia il caso di scuola del barbaro civilizzato dagli usi e costumi della politica romana. Tra questi c’è Linkiesta.
Di Maio è lo stesso che accusava il Pd di fare l’elettroshock ai bambini per sottrarli alle famiglie naturali e poi lucrare sugli affidamenti familiari, mentre ora vuole allearsi col Pd a Bibbiano, in Italia e in Europa. Per questo è inspiegabile come possa essere considerato un politico serio e coscienzioso anziché un furbacchione opportunista che al prossimo giro potrebbe essere prontissimo a tornare a mozzare orecchi, devastare il mercato del lavoro e umiliare la democrazia rappresentativa.
L’unica cosa che mi è sempre piaciuta di Di Maio non depone però a suo favore: da ministro del secondo governo Conte lasciava che il suo staff diffondesse veline contro il presidente del Consiglio, in una sfida belluina tra uffici della comunicazione dei Cinquestelle. Le attività per indebolire Giuseppe Conte meritano da sole una medaglia al valore civile, ma non sono esattamente una prova di affidabilità e rettitudine se combattute dall’allora capo politico del partito che esprimeva Conte.
Sarebbe sciocco, insomma, fidarsi della narrazione di un Di Maio ex masaniello digitale convertitosi ai privilegi della casta. Più prudente, invece, diffidare di chi, come il conduttore che alla giornalista Greta Beccaglia ha consigliato di non prendersela per la palpatina al sedere ricevuta in diretta tv, vuole convincere il sistema politico che non bisogna prendersela con Di Maio perché in fondo è normale che sia cambiato.
No, grazie. Meglio continuare a prendersela con chi come Di Maio ha speculato sull’antipolitica alimentando rabbia e risentimento, e non smettere di denunciare i palpeggiamenti ai diritti civili, le molestie alle istituzioni e lo stupro del dibattito pubblico compiuti in questi anni di populismo.