Lo scacchistaLa debolezza europea ha consentito alla Russia di Putin di tornare a essere una grande potenza

Il regime di Mosca negli ultimi anni ha vinto tutte, o quasi, le sfide geopolitiche: in Ucraina, in Siria, in Libia, nel braccio di ferro con Bruxelles. Il presidente russo è riuscito a modificare i rapporti di forza internazionali a svantaggio dell’Occidente

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Nessuna, assolutamente nessuna simpatia per Vladimir Putin. All’opposto, un concreto disgusto per la repressione dei dissidenti nel regime di “democratura”, crasi tra democrazia e dittatura, da lui imposto con metodi sporchi al popolo russo. Completamente dalla parte di Alexei Navalny, dunque. Senza riserve.

Ma questo non toglie l’obbligo di registrare che sulla scena internazionale Putin ha un tocco, una capacità di iniziativa, una strategia che ha messo e mette nel sacco tutte le leadership europee, in primis Angela Merkel, e lo stesso Joe Biden, come nota oggi l’autorevole Le Monde.

Si parte dalla sua gestione della crisi ucraina iniziata nel 2014. Putin vi ha sempre mantenuto, con una spregiudicatezza e un cinismo ineguagliabili, il vantaggio dell’iniziativa e ha conseguito il suo obiettivo in pieno. Ha annesso senza prezzi eccessivi la Crimea e si è visto consegnare senza sparare un colpo, dall’ammiraglio ucraino che la comandava, tutta la flotta ucraina del mar Nero.

Con gli accordi di Minsk, dopo aver aiutato con i suoi “omini verdi” i ribelli russofoni, ha imposto che i presidenti, suoi protetti, delle autoproclamate repubbliche popolari autonome di Lugansk e Doneck, da “terroristi” – quali erano considerati dal governo di Kiev – fossero accettati come interlocutori legittimi a pieno titolo dal governo ucraino e dalla comunità internazionale, Angela Merkel in testa.

Ha anche ottenuto che il governo di Kiev si piegasse a una riforma federale, ancora non attuata, a vantaggio dei ribelli russofoni. Ha ottenuto infine che si sia rimandata sine die l’adesione dell’Ucraina alla Nato.

Di fatto, ha saputo trarre il massimo vantaggio geopolitico dal marchiano errore dell’Unione europea che nel 2014 ha deciso di ammettere l’Ucraina senza prima aprire un tavolo di trattative con il Cremlino.

Subito dopo, Putin ha capitalizzato al 100 per cento l’errore di Barack Obama che ha scelto di non punire il sanguinario dittatore siriano Bashar al Assad che aveva superato la “linea rossa” dei bombardamenti chimici dei civili.

Mentre François Hollande ancora smaltiva la rabbia per avere dovuto fermare i bombardieri francesi pronti a decollare a motori accesi per colpire il regime di Damasco, a causa del voltafaccia di Obama; mentre l’Onu attuava il suo ipocrita piano di distruzione dell’arsenale chimico di Assad – solo intaccato – Putin ha riempito il vuoto d’iniziativa occidentale e ha cambiato manu militari le sorti della guerra civile siriana.

Assad, sull’orlo della sconfitta inevitabile, è stato letteralmente salvato dall’aviazione russa e dal contingente militare russo inviato da Putin a Latakia. In cambio, oggi la Russia si è saldamente impiantata militarmente nel Mediterraneo orientale ottenendo la grande base militare navale di Tartous e la grande base militare aerea di Khmeimim.

Subito dopo, approfittando della demenziale linea politica dell’Unione europea, più volte enfatizzata dall’inutile Luigi di Maio, secondo la quale la guerra civile in Libia «ha una soluzione politica, non militare», Putin ha inviato a Bengasi al fianco di Khalifa Haftar migliaia di mercenari russi del Gruppo Wagner, di proprietà dei suoi sodali e amici Dimitri Utkin e Evgenij Prigozhin.

Pur sconfitti sul campo dallo speculare intervento militare di Recep Tayyp Erdogan al fianco del contrapposto governo di Fayez al Serraj, i mercenari della Wagner hanno garantito alla Russia di Putin la concessione per 99 anni della strategica base navale militare di Tobruk e la base aerea di al Jufra.

Inoltre, l’Egitto di Al Sisi, schierato al fianco di Khalifa Haftar, ha ripagato l’intervento libico di Putin concedendogli l’uso delle basi militari navali egiziane di Alessandria e Mersa Matruh.

Nei fatti, la Russia di Putin è così diventata una nuova, grande, potenza militare navale nel cuore del Mediterraneo. Una modifica dei rapporti di forza geopolitici, a tutto svantaggio dell’Europa e dell’Occidente, impensabile sino a pochi anni fa.

Ma non è tutto. Putin è anche e perfettamente cosciente del dilemma che rende impotente l’Unione europea. Da una parte dipende da Mosca e quindi da lui per l’approvvigionamento energetico, col 50 per cento del fabbisogno di metano della Germania soddisfatto da Gazprom.

Inoltre, Francia e Germania, ma anche gli Stati Uniti, a tutto mirano fuorché spingere la Russia nelle braccia della Cina. Quindi sono obbligati a tenere con Putin una linea di trattativa permanente, ma da posizioni di debolezza.

Dall’altra parte, però, l’Europa, in particolare il Parlamento europeo, che è tutta altra cosa rispetto alla Commissione e soprattutto ai governi europei, intende, a ragione, contrastare gli aspetti totalitari del regime di Putin.

Alla fine, però, gli avversari della democratura putiniana scoprono di non avere, di non essere riusciti a procurarsi, a costruire, armi di pressione.

Lo si vede bene in queste ore. L’Unione, infatti, per risolvere la “guerra ibrida” scatenata cinicamente da Lukashenka, con l’invio manovrato di duemila profughi a premere sul Muro con la Polonia, alla fine si è dovuta piegare a una poco onorevole trattativa col dittatore di Minsk.

Infine, e di nuovo, l’Ucraina. L’ammassamento di centomila soldati russi al suo confine può forse preludere a un intervento militare russo contro il governo di Kiev. Ipotesi improbabile.

Più concreta sembra invece la tesi, sostenuta dal Monde, di un Putin irritatissimo da quando Barack Obama definì la sua Russia «una potenza regionale» che ha imparato l’arte di provocare per imporsi sulla scena internazionale.

In particolare, oggi, per imporre una trattativa alla pari sull’Ucraina a Joe Biden, che si illudeva di poter considerare Europa e Russia uno scenario più che secondario, per concentrarsi solo sull’Indo-Pacifico.

Una strategia che ricorda quelle di Zhou Enlai e Henry Kissinger, che spinsero Nixon a un riavvicinamento alla Cina, per indebolire l’Unione Sovietica.

Oggi Putin offre un’ipotesi di rapporti tra potenze speculare: spinge Bruxelles e Washington a trattare con Mosca, pur di non farla alleare con Pechino.

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