Sono in 70 e hanno firmato una lettera per dire che Sally Rooney ha fatto bene. La scrittrice irlandese, in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Beautiful World, Where Are You?” lo scorso settembre, si era rifiutata di concedere i diritti di traduzione alla casa editrice israeliana Modan, che aveva pubblicato i suoi due romanzi precedenti. La ragione è politica. Sally Rooney sostiene la causa del controverso movimento Boycott, Divestment, Sanction (BDS), che chiede «la fine del sostegno internazionale all’oppressione israeliana dei palestinesi, facendo pressioni perché obbedisca alle leggi internazionali». E la colpa della Modan è, secondo gli autori nella lettera, «vendere le pubblicazioni del ministero della Difesa israeliano».
Come era prevedibile, la decisione ha suscitato comprensibili polemiche, un certo scandalo e, adesso, anche una lettera di supporto. Il movimento BDS si identifica come la continuazione della battaglia anti-apartheid del Sudafrica, tanto che secondo alcuni studiosi le sue origini risalirebbero alla Conferenza mondiale contro il razzismo del 2001, che si era tenuta proprio nel Paese africano. Tuttavia in molti, come l’ex presidente dell’Anti-Defamation League, hanno segnalato che le sue posizioni, concentrate sulla fine dell’occupazione israeliana e sulla richiesta di restituzione delle terre ai palestinesi, sottintendano in realtà la volontà di distruggere Israele. Altri hanno fatto notare come nei suoi proclami non faccia alcuna distinzione di responsabilità tra gli israeliani, identificandoli tutti come un nemico oppressore. Anche per lo studioso Norman Finkelstein, che ha spesso posizioni filo-palestinesi, il movimento BSD è «un culto disonesto», che vuole porre fine a Israele attraverso la demografia. Nel 2019 il parlamento tedesco ha deciso di revocargli ogni finanziamento sulla base del fatto che le istanze di BDS sono state giudicate «antisemite».
Sally Rooney non la pensa così. E se anche due catene di librerie israeliane hanno deciso per protesta di ritirare i suoi libri dagli scaffali, va avanti e ottiene l’appoggio di 70 personalità, tra scrittori, poeti e autori teatrali. La lettera (qui il testo, pubblicato dall’Irish Times), che si limita a ribadire la solidarietà nei confronti del popolo di Israele, somiglia più a una sorta di manifesto e a una conta.
Tra i firmatari ci sono personaggi notissimi come il saggista indiano Pankaj Mishra, lo scrittore inglese Geoff Dyer, l’autrice americana Rachel Kushner, a insieme ad altri più o meno noti, come l’autrice anglo-pakistana Kamila Shamsie (che a sua volta aveva rifiutato un riconoscimento in nome del popolo palestinese e si rifiuta di pubblicare i suoi scritti in Israele perché «non esiste casa editrice che non abbia legami con lo Stato»), o la bengalese naturalizzata inglese Monica Ali. C’è anche il britannico China Miéville, autore marxista di fantasy, e l’editrice Alexandra Pringle, fondatrice della Virago Press.
L’istanza è intellettuale, l’impegno è politico e la posizione molto chiara. Nulla da dire sulle opinioni, per carità. E si sa che i simboli sono importanti, spesso importantissimi. Ma risulta difficile capire, stringi stringi, cosa importa agli oppressi palestinesi sapere che gli israeliani non leggeranno l’ultimo libro di Sally Rooney.
(la foto è di Chris Boland / www.chrisboland.com )