Le tecnologie stanno plasmando il mondo a una velocità esponenziale. La transizione digitale accelerata dalla pandemia apre grandi opportunità e sfide. Ma non tutto sta andando nella direzione sperata. La forbice che separa uomini e donne persiste, soprattutto nel settore della tecnologia. E il rischio temuto da alcuni è che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), puntando sulla quarta rivoluzione industriale, possa ampliare questa distanza, escludendo l’universo femminile dalla costruzione del futuro post-pandemia.
«Bisogna agire perché accada il contrario. La tecnologia può e deve diventare una leva per favorire l’inclusione delle donne nel mondo del lavoro», ha detto Darya Majidi, fondatrice e ceo di Daxo Group da anni impegnata nella diffusione dell’empowerment femminile, nel corso del webinar “La Tecnologia sarà donna. Digital Transformation e Ai: visione al femminile”, organizzato da Mylia (brand di The Adecco Group che si occupa di formazione e sviluppo per persone e aziende) nell’ambito di “4 Weeks 4 Inclusion”.
I dati, nel nostro Paese, non sono confortanti. Anzitutto, solo il 48% delle donne italiane lavora. Il World Economic Forum nel report sul Global Gender Gap non a caso posiziona l’Italia al 63esimo posto su 153 Paesi. «Un dato gravissimo e poco conosciuto», ha spiegato Majidi. «Non c’è la percezione che in Italia ci sia un vero problema di rappresentanza delle donne per quantità e qualità». Con le regioni del Sud che sono il fanalino di coda della classifica europea, raggiungendo solo il 30% delle donne occupate. Risultato: secondo il World Economic Forum, in Italia ci vorranno 125 anni per chiudere il divario di genere.
E se si focalizza lo sguardo sul settore tech, la situazione peggiora: solo il 26% della forza lavoro è composto da donne. Ma non è solo una questione di quantità, bensì anche di possibilità di carriera, visto che solo il 10% delle startup innovative in Italia ha un ceo donna.
«A monte di questi numeri c’è il fatto che le donne non scelgono percorsi di studi e carriere Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr)», ha spiegato Majidi. «Ci sono milioni di posti vacanti nel mondo nel settore delle tecnologie. Ma oltre al digital mismatch, bisogna considerare anche il gender digital mismatch. E quindi l’opportunità che si sta aprendo con la quarta rivoluzione industriale e con il Pnrr potrebbe rappresentare un pericolo per le donne».
Eppure le cose non sono così da sempre. «È stata una donna che ha inventato il linguaggio della programmazione, è stata una donna che ha scoperto i principi del Wi-fi», ha ricordato Darya Majidi. «Le donne nell’informatica erano presenti. Poi c’è stato un cambio culturale. Negli anni Ottanta le famiglie regalavano ai maschi i Commodor 64 e alle femmine le Barbie. E, soprattutto, le donne venivano pagate meno degli uomini». Da qui la frattura e la distanza crescente tra il mondo tech e l’universo femminile.
Basti pensare che oggi le donne rappresentano solo il 20% dei professionisti che operano nel settore dell’intelligenza artificiale. «È un fenomeno che ci deve preoccupare», ha spiegato la manager, «perché l’Ai sta ridisegnando letteralmente le regole della conoscenza e perché non è neutra. Se c’è una predominanza maschile, introduciamo nel sistema bias culturali di genere che fanno sì che la rappresentanza generalizzata della conoscenza diventi una regola».
Per fare un test, si possono cercare su Google foto di ceo. La maggior parte delle immagini che troviamo ritrae uomini manager, non donne. «Immagini come queste diventano demotivanti e pericolose», ha spiegato Majidi. «L’intelligenza artificiale sta assimilando nelle sue regole i bias di genere replicando rappresentazioni piene di stereotipi».
Partendo da questo scenario e trovandosi spesso nel board delle aziende come unica donna, Darya Majidi nel 2018 ha deciso di «fare qualcosa». E così ha pubblicato, tramite una piattaforma di self publishing, il libro “Donne 4.0”, «in cui ho raccontato alle donne le opportunità che si aprivano con la quarta rivoluzione industriale». E «grazie al libro mi sono accorta che era un tema che le donne sentivano», ha raccontato.
Nel corso del webinar di Mylia, la vignettista Neva Chieregato ha descritto i contenuti trattati con le sue illustrazioni. A partire dalle «tre C», che costituiscono il fulcro del testo di Darya Majidi. La prima è quella delle «Competenze» rese necessarie dalla trasformazione digitale. La seconda è il «Cuore», per «proporre cambiamenti e lottare con tenacia anche nel lavoro e non solo nelle questioni familiari». La terza è la C di «Coraggio» per «affrontare sfide importanti, senza paura del fallimento. Perché il coraggio si impara allenandolo».
Come muoversi, quindi, per far funzionare le tre C? In primis, ha spiegato Majidi, «bisogna puntare sulle competenze distintive valorizzando i nostri punti di forza». E poi «serve fare rete connettendosi, frequentando corsi, leggendo, studiando e agendo. Senza temere le tecnologie. Dobbiamo essere in grado di lanciare una piattaforma digitale, così come le nostre nonne hanno imparato a far partire lavatrici e lavastoviglie».
E questo vale soprattutto dopo che il Covid-19 ha reso la tecnologia uno strumento indispensabile per lavorare, studiare, mantenere contatti. I dati dicono che questa trasformazione è qui per restare.
Ma la novità è anche un’altra. Con l’automatizzazione dei processi, sono richieste oggi più che mai anche soft skill, come il problem solving, la creatività e l’intelligenza emotiva, «che sono tipicamente femminili», ha aggiunto Majidi. «Se la forza fisica è automatizzabile, allora vincono la creatività e l’immaginazione. E noi donne questo lo abbiamo. Ecco perché bisogna unire le forze e dare una mano alle più giovani perché possano studiare le materie Stem e scegliere il destino che vogliono».
Le tecnologie, ha spiegato la manager, «sono la nostra arma potente. Solo l’istruzione digitale può aiutare le bambine, anche nei Paesi più poveri. Gli studi dimostrano che se noi diamo un device a una donna, la sua vita cambia. Come Virginia Woolf diceva che serve una stanza per ogni donna, io dico che serve un device per ogni donna».
Con questo obiettivo, Darya Majidi ha creato anche l’associazione “Donne 4.0” per «superare il gender gap grazie alle tecnologie digitali». E da qui è nato il concetto della «sorellanza digitale, ovvero lottare perché le meno fortunate nel mondo abbiano il diritto di accedere ai servizi digitali». Ma non può essere una lotta che coinvolge solo le donne. «Il femminismo 4.0 è tecnologico e inclusivo per una nuova alleanza tra uomini e donne», ha spiegato.
Così alle prime tre “C” se ne sono aggiunte altre tre: Consapevolezza della presenza delle discriminazioni (anche negli uomini); Cultura da cambiare, evitando di dire «si è sempre fatto così»; Community, perché «la rete è la nostra forza, andando oltre gli amici e la famiglia e creando nuovi network con i nostri valori». «Se la community in cui siamo nati e cresciuti non condivide i nostri valori, sta a noi cercarci nuove community», ha concluso la manager.
Sono proprio gli stessi valori promossi da Mylia e da Tim (che ha attivato il coinvolgimento di Mylia nella partecipazione all’iniziativa “4 Weeks 4 Inclusion”). Nel corso dell’evento, le due organizzazioni hanno avuto modo di condividere le motivazioni e l’importanza di impegnarsi oggi nella promozione della cultura dell’inclusione a tutti i livelli, a partire dalle azioni concrete che possono essere messe in atto dalle direzioni risorse umane delle grandi aziende, perseguendo l’obiettivo di incidere positivamente sulla vita dei dipendenti e sulla cultura della società.
«Tim ha avuto un ruolo determinante nel promuovere un progetto così ampio, attorno al quale si sono mobilitate un numero straordinario di organizzazioni e di singole persone. Mylia non poteva non accogliere positivamente l’invito condividendo tanto i valori che stanno alla base tanto le modalità – e la logica inclusiva anch’essa – con cui l’evento è stato organizzato», spiega Roberto Pancaldi, Managing Director di Mylia.