Questo autunno il prezzo dell’elettricità è cresciuto considerevolmente, in Italia e in tutta Europa, raggiungendo dei picchi storici dopo che nel 2020 lo scoppio della pandemia e i lockdown estensivi avevano fatto crollare la domanda di energia e con essa i prezzi. Nel secondo trimestre del 2020, in Italia le condizioni economiche di fornitura per i consumatori in maggior tutela (cioè che usufruiscono delle condizioni economiche e contrattuali fuori mercato garantite dall’Autorità pubblica) erano scese a 16.08 c€/kWh. Già nel terzo trimestre il prezzo dell’energia elettrica era salito a 22,89 centesimi di euro per kilowattora, fino a raggiungere la cifra di 29,7 c€/kWh nel semestre attuale (IV 2021).
Questo aumento, seppur vertiginoso, è contenuto parzialmente dalle misure del governo, tramite l’abbattimento della voce oneri di sistema in bolletta. Se guardiamo all’andamento della sola spesa per la materia energia vediamo come in un solo anno sia aumentata del 159,4% (da 8,55 c€/kWh del IV trimestre 2020 a 22,18 c€/kWh del IV trimestre 2021).
L’aumento è stato guidato principalmente dalla crescita dei prezzi di carbone, petrolio e gas. Questa dinamica è stata sistematica e comune nella Unione Europea, portando la crescita delle tariffe per l’elettricità anche in paesi dove gas e fossili pesano meno nel mix energetico. Questo fenomeno è dovuto al sistema stesso dei prezzi stabilito dall’UE, il pay-as-clear, che fa sì che i costi dell’elettricità all’ingrosso riflettano il prezzo dell’ultima unità di energia acquistata tramite aste tenute negli stati membri. Generalmente il gas è il combustibile necessario per assicurarsi che venga fornita abbastanza energia per soddisfare la domanda. Come il gas aumenta di prezzo, così aumenta il prezzo dell’elettricità.
L’aumento del prezzo delle materie prime dipende principalmente da tre fattori: ragioni economiche, ragioni atmosferiche, e difficoltà nell’offerta.
Una ripresa economica molto veloce ha guidato il rimbalzo della domanda di carbone e gas naturale nella prima metà del 2021. Negli anni precedenti, la riduzione degli investimenti in petrolio e gas naturale a causa di due collassi nei prezzi – nel 2014-15 e nel 2020 – hanno reso l’offerta meno pronta a reagire a dinamiche d’eccezione come quella avvenuta nel 2021. Allo stesso tempo, le fonti di energia rinnovabile non sono state sviluppate abbastanza velocemente e a livelli tali da coprire questo gap. Inoltre, a peggiorare la situazione sono intervenuti un inverno freddo e lungo, che ha sostenuto la domanda, siccità che ha limitato la generazione idroelettrica e venti sotto la media che hanno limitato la produzione eolica in Europa.
All’aumento dei prezzi, anche se si ritiene in misura minore, ha contribuito anche il costante aumento dei prezzi nel mercato dei permessi di emissione, l’ETS (Emission Trading System). Questo sistema, introdotto nel 2005, introduce dei permessi che un’azienda deve possedere per emettere il corrispettivo quantitativo di Co2. Vengono assegnati alle aziende o messi all’asta, e le aziende possono venderli, incentivando la riduzione di emissioni al fine di spendere meno in permessi. Il numero di questi ultimi è ovviamente limitato e diminuirà con gli anni, portando il prezzo a crescere ancora di più. L’aumento del prezzo dei permessi, necessari ai produttori di combustibile fossile, viene scaricato in parte anche sui consumatori finali, quindi in bolletta.
Come hanno affrontato la crisi i più grandi paesi europei?
In Italia, Arera (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) è intervenuta eliminando gli oneri generali di sistema in bolletta e rafforzando il bonus sociale alle famiglie in difficoltà, limitando l’impatto del rincaro su 29 milioni di famiglie e 6 milioni di microimprese.
Il governo ha stanziato oltre 3 miliardi di euro con il Decreto-Legge 27 settembre 2021, n. 130 (“Misure urgenti per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico e del gas naturale”). Di questi, 2,5 miliardi di euro sono dedicati all’annullamento degli oneri generali di sistema (sia per gas che energia elettrica) per il prossimo trimestre e 500 milioni circa al potenziamento dei bonus sociali energia e gas. A questo si è inoltre aggiunto affiancata una riduzione al 5% dell’Iva per le bollette gas. In definitiva, con l’aggiornamento Arera per il quarto trimestre, la componente fiscale (oneri nulli compresi) costituisce l’11,8% del prezzo lordo totale per il consumatore domestico, contro il 36% del IV trimestre 2019 (13% di imposte più 23% di oneri di sistema).
Guardando invece al panorama europeo, l’esecutivo spagnolo ha varato una serie di misure che destinano circa 2,6 miliardi di euro per il contenimento del prezzo delle bollette. Tale cifra è raccolta principalmente attraverso un’imposta straordinaria sugli extraprofitti di chi genera elettricità con tecnologie che non emettono CO2 (idroelettrico, eolico, fotovoltaico ecc.) e che in questo contesto sta beneficiando grazie all’aumento del prezzo del gas naturale. In Germania, la nuova coalizione di governo ha promesso di usare i ricavi derivanti dal prezzo della CO2 pagato nei trasporti e nel riscaldamento per ridurre l’incentivo a favore delle rinnovabili pagato in bolletta, generando un risparmio che nel 2023 sarà intorno ai 111€ all’anno per nucleo familiare medio.
Il Governo francese preferisce invece concentrarsi sui bonus. Attualmente circa 5,8 milioni di famiglie francesi beneficiano dei voucher per l’energia, ed è in valutazione un’aggiunta di 100 euro rispetto ai 150 di cui si compone il sussidio annuale.
La condizione attuale dei prezzi energetici è eccezionale, dovuta a una combinazione di fattori. Difficilmente una policy nazionale sarà in grado di prevenire tali shock sistemici legati al prezzo del gas. Una maggiore capacità produttiva costituita da impianti rinnovabili ridurrà la dipendenza da gas naturale e di conseguenza la portata degli shock di prezzo. I prezzi alti e la necessità di accelerare con la transizione impongono però una riflessione sui quali categorie sopportano effettivamente i costi di una trasformazione del sistema energetico.
La transizione graduale verso produzione da fonti rinnovabili ha ridotto il prezzo dell’elettricità all’ingrosso. Uno studio del MEF stima che tra il 2009 e il 2013 la generazione tramite eolico e solare ha infatti, in media, ridotto i prezzi dell’elettricità all’ingrosso rispettivamente di 2,3 €/MWh e 4,2 €/MWh per ogni GW installato, mentre nel caso del solare il risparmio monetario non è stato sufficiente a compensare il costo dei relativi schemi di sostegno che sono interamente internalizzati appunto in bolletta, negli oneri per gli utenti finali.
Gli oneri di sistema si dividono in due componenti: la componente Asos (destinata proprio al sostegno delle energie da fonti rinnovabili e le imprese energivore) e Arim (destinata all’incentivazione della produzione da rifiuti, alla messa in sicurezza del nucleare, alle agevolazioni per il settore ferroviario, al sostegno alla ricerca, al bonus elettrico, a facilitare l’integrazione delle imprese elettriche minori). Per una famiglia gli oneri ammontano a circa il 20%-25% del costo della bolletta, con la componente Asos 4 volte più pesante della componente Arim. Da tempo, infatti, in Italia si discute se sia corretto o meno mantenere la componente degli oneri di sistema in bolletta.
Il motivo per cui le missioni sopracitate debbano essere finanziate direttamente da spese aggiuntive in bolletta, e non tramite gettito dalla fiscalità generale, risulta poco chiaro. Il calcolo degli oneri dipende direttamente dalla quantità di energia consumata ma non dal reddito (solo sotto un ISEE di €8.000 si è esenti), e ciò li rende poco progressivi. Infatti, come mostrato nel paper Levinson e Silva 2019 la spesa per energia elettrica varia poco al variare del reddito, e la redistribuzione che si ottiene con una tariffa differenziata sulla quantità è molto limitata.
Oltre al maggior prezzo per finanziare le energie rinnovabili presto si sommerà quello conseguente alla tassazione della CO2. Diversi studi (Faiella e Lavecchia 2021, Kanzig 2021) concludono che la tassazione della CO2, o gli strumenti equivalenti come l’ETS, comportano effetti generalmente regressivi: la spesa aumenterebbe di più per le famiglie più povere mentre la loro domanda di energia diminuirebbe. Se la carbon tax risultasse efficace nel ridurre le emissioni di gas serra, sarebbe importante utilizzare l’aumento delle entrate fiscali per compensare gli impatti negativi subiti dalle famiglie vulnerabili: rendendo per esempio strutturali gli interventi eccezionali adottati dal governo per questa crisi o ampliando la portata dei bonus.
La transizione energetica e il controllo dell’innalzamento della temperatura necessitano di azioni incisive anche dal punto di vista economico: abbiamo visto l’introduzione di misure di disincentivo all’inquinamento come il mercato dei permessi ETS o di finanziamento delle rinnovabili portate avanti anche attraverso gli oneri di sistema in bolletta. Sebbene queste misure contribuiscano attivamente, è necessario curarsi che la transizione energetica non abbia effetti economicamente regressivi: è dunque importante costruire misure che non facciano ricadere i costi in maniera sproporzionata sulle categorie più deboli. Spostare gli oneri di sistema dalla bolletta alla fiscalità generale è un passo in questa direzione.
Andrea Chiantello ha lavorato a DG competition della Commissione Europea, ed è ora analyst per una consulenza economica. È inoltre senior fellow di Tortuga tramite il quale pubblica questo contributo