Ogni anno, al 31 dicembre, arriva il momento del verdetto, del proprio bilancio personale dei 12 mesi appena trascorsi. È stato un anno pieno di successi o di sconfitte? Le cose sarebbero potute andare diversamente se avessimo preso altre decisioni?
E così quando tutti, allo scoccare della mezzanotte, teniamo in mano le stelle filanti – quelle bacchette scintillanti sottili sottili – esprimiamo buoni propositi sui prossimi 365 giorni, sperando che una volta per tutte si possano avverare come nella nostra mente. Noi, in questo finire del 2021, ne abbiamo espressi 5 (+1) che riguardano la sfera di cui ci occupiamo ogni giorno: la gastronomia. Eccoli in fila.
1. Rivalorizzazione delle parole svuotate di significato
Se dobbiamo proprio partire da un buon proposito gastronomico per il 2022, non possiamo che iniziare dall’uso contingentato delle parole abusate, quelle che ormai ci siamo abituati a citare come aforismi ma di cui non conosciamo nemmeno più il vero significato.
a. In un’ipotetica top 3 di queste, lo scalino più basso del podio sarebbe occupato da artigianale, termine poco abusato ma, come nel caso del gelato preparato con additivi e coloranti, utilizzato a sproposito. Se è vero che la legge corrente consente l’utilizzo di questo termine nelle insegne delle gelaterie che lavorano secondo questi principi, possiamo guardarci bene dal distinguere chi lavora in modo veramente artigianale e chi solo a parole.
b. Al secondo posto del podio vi sono quelle specialità gastronomiche DOP e IGP citate come a memoria. Se è vero che dobbiamo essere riconoscenti a pizzerie e ristoranti che le citano a ragion veduta, è pur vero che non ne possiamo più di scoprire giorno dopo giorno la grandezza sempre più sterminata della metropoli Bronte, né la bontà venerea delle acciughe del pescoso Mar del Cantabrico. Esistono altri ottimi prodotti che non vedono l’ora di essere scoperti: cosa aspettiamo?
c. La medaglia d’oro va però a sostenibilità, parola che per via dell’ampio spettro di campi semantici che include, viene utilizzata nella moda, nell’economia, nell’etica, nella gastronomia e non solo. Proprio in quest’ultimo settore, ha ottenuto ulteriore attenzione grazie all’assegnazione della Stella Verde da parte di Michelin. Fare lo sforzo a non utilizzarla, come nella politica di Alce Nero, e a spiegare cosa invece ci sta dietro è il più grande impegno che possiamo mettere in campo per restituirle il significato che aveva quando nessuno la citava.
2. Riduzione dei consumi gastronomici di tendenza
Avocado, ginseng, zenzero e così via. Di tendenze gastronomiche si vive ogni anno e questa non è una novità, un po’ come dei colori dopo l’annuncio del Pantone. Quello che differisce dal design, però, è che tutta quest’attenzione verso pochi ma limitati cibi non fa altro che riportare il discorso sul punto appena toccato. Quanto sono insostenibili coltivazione e successivo trasporto di alimenti come avocado, zenzero e ginseng? Non sarebbe meglio un’alimentazione focalizzata su cibo di provenienza locale/nazionale di stagione lasciando posto all’etnico solo in occasioni speciali? In questo modo, sicuramente, non incentiveremmo delle produzioni non etiche – come quella dei coltivatori di avocado, che per via della richiesta idrica del frutto non hanno acqua nemmeno per sé – aiuteremmo ancor di più i produttori locali e apprezzeremo il cibo etnico per quello che è veramente, non nell’improprio travestimento che gli attribuiamo a casa nostra. Se vi reputano dei cuochi provetti non vi sentite considerati in quest’ultimo punto.
3. Nascita di un format televisivo dedicato al personale di sala
Se a una platea facessimo la domanda “Chi non ne può più dei programmi di cucina?” siamo sicuri che un numero maggiore di persone rispetto a qualche anno risponderebbe sì. Dalla TV generalista ai canali specifici, ogni momento (ma proprio ognuno) è buono per accendere la fiamma e spadellare. Se abbiamo parlato benissimo di Dinner Club – la mini-serie condotta da Carlo Cracco con protagonisti 6 attori e personaggi della televisione e del cinema italiano – dobbiamo anche ammettere che desideriamo anche un format dedicato al personale di sala. Nessun ruolo all’interno di un ristorante è malvoluto come quello cameriere – forse il lavapiatti può reggere la sfida – e crediamo che la creazione di un programma del genere possa portare nuova linfa al settore. In fondo, non è stato così anche per lo chef?
4. Eliminazione della plastica nella consegna a domicilio
Alzo il telefono, digito che cosa desidero e in 10 minuti mi arriva tutto a casa. Che meraviglia si potrebbe pensare dal punto di vista dell’efficienza, ma sicuramente l’ambiente non sarebbe della stessa idea. Se ampiamente dibattuto è stato il tema della paga dei rider, che è finalmente è arrivato a una felice conclusione, lo stesso non si può dire dell’impatto ecologico. Poche sono le realtà che hanno a cuore questo tema – Cortilia è una fra queste – e, se davvero non dovessimo più abbandonare quest’abitudine nella vita quotidiana, urge trovare una soluzione che non possa soddisfare solo noi.
5. Aumento del benessere lavorativo nel campo della ristorazione
Serviva una pandemia per rendere visibile a tutti quanto inadeguato fosse il contratto lavorativo del personale assunto – e non – dai ristoranti. Serviva una pandemia per far riscoprire alle persone che dedicano la propria vita alla ristorazione quanto fosse piacevole passare il tempo in compagnia del proprio partner e dei figli avuti insieme. Serve un’altra pandemia per ripensare le linee guida dei contratti stipulati in questo settore?
6. Riduzione dello spreco alimentare
Non siamo riusciti a stare in cinque punti, perché i buoni propositi gastronomici per l’anno prossimo sono almeno sei. L’ultimo non è una novità, ma un tema a cui ancora in troppi non poniamo la giusta attenzione. Quando in TV si dice che il 33% del cibo prodotto nel mondo – che sarebbe sufficiente a sfamare tutte le persone malnutrite – viene buttato nella spazzatura, subito la reazione comune è quella di voltare le spalle. Se noi gettiamo due carote bitorzolute, una testa d’aglio, del formaggio con la muffa (non desiderata) e un po’ di pane secco a settimana non succederà mica niente. Se al mondo ci fossimo solo noi a fare così la risposta sarebbe positiva ma, visto che a marzo 2021 eravamo 7,85 miliardi di persone e secondo stime ONU del 2019 nel 2100 potremmo raggiungere i 10 miliardi, non è proprio così la questione. I consigli più semplici e banali per ridurre lo spreco sono sempre quelli che funzionano meglio: fare la spesa solo a pancia piena, disporre i cibi in frigo in modo da non nascondere le confezioni già aperte, utilizzare tutte le parti possibili di un ingrediente (per esempio, il verde dei porri) e valorizzare. Valorizzate la pasta del giorno prima passandola in forno, riproponete il cibo avanzato in abbinamenti diversi dalla volta precedente e fate il pangrattato. Non sarà più buono del pane da cui l’avete ottenuto ma ricordatevi che va a braccetto con la parola fritto. Ah, e non dimenticatevi dello sgabuzzino con piselli, fagiolini e spinaci a -18°C.