Dati Panettonelandia

Logistica problematica, aumento dei costi delle materie prime, difficoltà nel reperire gli approvvigionamenti e una domanda estera sempre più alta. Il mercato del panettone soffre il peso della pandemia. Ricerche sui consumi, dati e statistiche dimostrano quanto sia mutato lo scenario del lievitato in questi due anni

Ricordate gli spot pubblicitari dei panettoni targati Natale 2020? Poche tavolate, tanti video fatti in casa e lo slogan della Bauli su tutti per ricordare che a Natale puoi, ma distanti è meglio. In una pandemia che ancora ci portiamo appresso, il distanziamento sociale e tutte le sue regole hanno inciso profondamente sugli acquisti di panettoni, di pandori e prodotti da ricorrenza in generale. A distanza di un anno, questo mercato così variegato è reso più complesso da fattori come logistica farraginosa, aumento dei prezzi delle materie prime, scarsità negli approvvigionamenti, richiesta su mercati esteri e forte stagionalità. Ma andiamo con ordine.

Origini
Poche storie: Natale vuol dire panettone per la maggior parte degli italiani, e non solo oramai. Dolce lievitato dalla lavorazione lunga e complessa, del panettone non si conosce l’origine esatta se non quella geografica, che lo colloca in ambito meneghino. Sicuramente nato in epoca medievale, se ne parla per la prima volta verso la fine del XV secolo in un manoscritto di Giorgio Valagussa, precettore in casa Sforza, a proposito del rito del ciocco del 24 dicembre e dei tre grandi pani di frumento tagliati dal capofamiglia. Le leggende però sono molteplici: ci sono il Toni, aiutante di cucina alla corte di Ludovico il Moro che impasta un pane arricchito per ovviare a un errore del cuoco; la monaca Ughetta che impasta per le consorelle; Ughetto degli Atellani che impreziosisce un impasto per fare colpo sulla figlia del panettiere.

Il comparto industriale
Dalle leggende ai dati: fotografare il mercato è una operazione complessa, perché delle oltre 87mila imprese che da codice Istat si dedicano alla produzione di prodotti da forno e farinacei, oltre il 52% sono in forma individuale autonoma o liberi professionisti. Una frammentazione che complica notevolmente consuntivazione e analisi.

Partiamo dai numeri della produzione industriale natalizia del 2020: tra panettoni tradizionali, senza canditi, farciti, pandori tradizionali e speciali e altri lievitati il comparto cuba circa 552 milioni di euro per un totale complessivo di 79,5 tonnellate: rispetto al 2019, l’impatto della pandemia di Covid-19 causa una decrescita di oltre 15 punti percentuali a valore e di 16 punti a volume. Tra i prodotti, i cui numeri comprendono l’export e l’invenduto, il panettone la fa da padrone: nella versione classica rappresenta oltre il 40% della produzione a volume, e quasi il 60% includendo le versioni senza canditi e speciali. Pur nella sua supremazia, tuttavia, anche la produzione industriale del panettone risente della flessione di mercato, perdendo circa il 12% a valore e oltre il 10% a volume.

Lato vendite, sul mercato nazionale il quadro si amplia e si dettaglia grazie ai dati del comparto artigianale raccolti da NielsenIQ. Osservando solo il periodo clou per il settore ricorrenze – ovvero ottobre ’20 – gennaio ’21 – il panettone definito artigianale registra performance in netta controtendenza rispetto al prodotto industriale: in confronto al 2019 cresce del 3,20% a valore, arrivando a 118,5 milioni di euro, e del 2,2% a volume, per un totale di 6mila tonnellate. Un aumento che conferma, anche in un anno così eccezionale, la crescente preferenza accordata ai prodotti considerati di maggior qualità, portando il panettone artigianale a raggiungere il 22% del volume di mercato e il 55% del valore complessivo di mercato, che si attesta a circa 217 milioni di euro. Chi perde colpi è il comparto industriale, come anticipato dai dati di produzione: la decrescita, pari a valori al -8,5% e a volumi al -9,4%, si registra su tutti i segmenti (tradizionale, farcito, senza glutine) e in particolare quello di fascia premium, solo in parte sono compensati da un leggero aumento dei prezzi.

Artigianalità e trend di mercato
Per approfondire il discorso su un trend di mercato così in controtendenza siamo andati da Dario Loison, uno che di panettoni ne produce oltre 3 quintali l’anno. Le sue osservazioni coinvolgono in primis il consumatore: una persona che compra meno, ma meglio – un profilo coerente con i dati di mercato di altri prodotti alimentari e con l’aumento dell’età media della popolazione italiana.

Altro elemento considerato è quello della panificazione artigianale, in crisi nel suo prodotto principe, il pane bianco, ma con ampi margini di crescita nei comparti funzionale e speciale. La possibilità di occupare un segmento di mercato di fascia medio-alta non presidiato e la forte spinta dei produttori di farine verso panificazioni speciali, in grado di ridurre le lavorazioni di panettoni e pandori, hanno consentito la diffusione di un prodotto che, per sua natura, necessiterebbe altrimenti di maggiori tempi di lavorazione e spazi di stoccaggio. A questo si aggiunge una crescente attenzione mediatica al prodotto artigianale, al quale sono dedicate sempre più numerose manifestazioni e gare lungo tutto lo Stivale.

Non è un caso, quindi, che anche produttori industriali come Balocco, Paluani o Maina propongano prodotti di fascia premium incartati a mano sul segmento più alto di mercato, o che investano fortemente su ricerca e sviluppo: i prodotti innovativi sotto il profilo gustativo e salutare costituiscono il cuore delle proposte funzionali a esigenze nutrizionali specifiche, come il senza glutine, il senza lattosio e il comparto bio. A queste si aggiungono tutte le varianti di panettoni farciti, che pur minoritari rappresentano una vetrina importante per tutti i produttori – industriali e non.

Player di mercato e prezzi
Se i piccoli produttori sono numericamente la maggioranza, la quota di produzione maggiore viene dai grandi player di mercato, che nel 2020 hanno sfornato oltre 51mila tonnellate di panettoni. Sul podio sicuramente il Gruppo Bauli che, con i marchi Bauli, Motta e Alemagna, l’anno scorso ha sfornato complessivamente oltre 8,2 milioni di panettoni, seguita da Galbusera con Tre Marie, e Balocco. Imprese artigiane come Panettoni Vergani di Milano e Albertengo di Torre San Giorgio (Cuneo) si attestano su 1,5 milioni di pezzi, Loison a circa 500.000 pezzi mentre le produzioni più di nicchia, come Olivieri 1882 di Arzignano (Vicenza) circa 10mila. Quello che forse non tutti sanno è che, in realtà il maggior produttore di panettoni al mondo non è in Italia, ma in Brasile: il marchio Bauducco nasce infatti da una famiglia di panettieri piemontesi emigrati a San Paolo nel 1948, e nelle 200mila tonnellate di panettone prodotte nelle sei fabbriche negli Stati Uniti usa il burro insieme a margarina e grassi vegetali.

Cambiano le quantità e cambiano anche i prezzi, che differiscono notevolmente tra prodotto industriale ed artigianale. Il primo si attesta al di sotto dei 10 euro al kg, e per le versioni classiche in molti casi al di sotto dei 5 euro al kg, utilizzando spesso il panettone come prodotto civetta per i punti vendita della grande distribuzione. Il prodotto artigianale, al contrario, si mantiene intorno ai 20 euro al kg per salire fino ai 50 euro: capitalizzando la lavorazione artigianale, le materie prime e la cura nella presentazione, infatti, il prodotto artesanal vede un aumento degli acquirenti che comprano solamente questo prodotto (+10% rispetto al 2020), che in qualche modo è diventato un oggetto da regalare, oltre che da condividere in tavola.

Export
Dai primi bancali spediti da Angelo Motta agli inizi del Novecento in poi, il panettone non ha mai registrato battute d’arresto nell’invasione delle tavole estere. Le cronache dell’epoca raccontano di ‘convogli interi’ di cassette di panettone che partono verso la fine di novembre da Milano per avviarsi verso le lontane Americhe, e oggi il trend è decisamente confermato: per i maggiori player di mercato le esportazioni valgono dal 16% (Bauli) all’oltre 55% (Loison) del fatturato.

Secondo le proiezioni Coldiretti su dati Istat, durante le festività 2021 i prodotti gastronomici a marchio Made in Italy stanno facendo registrare un incremento dell’11% su base annua, raggiungendo la cifra record di 4,4 miliardi di euro nel solo mese di dicembre. Tra vini, spumanti, grappe, liquori, formaggi, salumi e caviale, il panettone da solo registra un +25% sui dati dello stesso periodo di un anno fa. E se la parte del leone viene fatta da Stati Uniti, Germania e Francia, nonostante Brexit anche il Regno Unito è affascinato dal panettone: è notizia di pochi giorni fa la performance strabiliante della catena di supermercati inglesi Waitrose, dove le vendite di panettone sono aumentate del 59% rispetto al 2020. Ad essere presi d’assalto sono i marchi classici della tradizione italiana, ma non mancano molti prodotti italian-sounding, a base di pistacchio, cioccolata, tè verde e aceto balsamico.

Materie prime e aumenti
Non tutto è rose e fiori, nel comparto. Se la pandemia ha comportato nel 2020 un aumento della spesa domestica delle famiglie italiane del 7,4%, dall’altra ha prodotto una forte discontinuità nelle linee di produzione ed approvvigionamento di molte materie prime, specialmente per quelle presenti sui soli mercati esteri, la cui disponibilità è stata fortemente condizionata dalle ridotta capacità di trasporto marittimo su alcune delle maggiori tratte internazionali. Con la ripresa delle attività e quindi con il verificarsi di picchi di richiesta di materie prime, gli aumenti dei prezzi sono stati inevitabili e in parte dovuti anche a carenze strutturali dal punto di vista della capacità produttiva stessa.

Sotto la spinta dell’aumento del prezzo del petrolio (Brent), praticamente raddoppiato nell’arco di un anno, e dei rincari record dei prodotti energetici (+70%), i mercati agricoli internazionali stanno registrando forti tensioni, dovute in parte a problemi climatici con impatti sui raccolti e in parte a speculazioni finanziarie (+31% a ottobre il Food price index della FAO su base annua). Per fare qualche esempio: il prezzo dello zucchero grezzo ha subito maggiorazioni del 25%, gli oli vegetali del 70%, la farina del 38% mentre il burro, che per il decreto del 2005 deve rappresentare almeno il 16% degli ingredienti del panettone e almeno il 20% di quelli del pandoro, è praticamente introvabile. Stesso destino per la carta e il cartoncino, diventati difficili da trovare e venduti a peso d’oro visto che sono necessari a produrre stampi in cartone, sacchetti e altro materiale da imballo e vendita.

Un simile andamento dei prezzi delle materie prime non può non avere impatto sui prezzi finali. L’Istat ha rivisto il dato preliminare sulla crescita dell’indice dei prezzi al consumo a ottobre: su base tendenziale, cioè rispetto al 2020, i prezzi accelerano del 3%, in gran parte spiegato dalla corsa dei beni energetici. Federconsumatori, dalla sua, già registra un aumento medio del +12% rispetto al 2020 sui prezzi dei prodotti natalizi: +21% per il pandoro e +11% per il panettone. Sintomo di una necessità di ribaltare sul consumatore finale tutte le complessità di realizzazione di un prodotto sinonimo di festa e, a quanto pare, assolutamente immancabile sulle tavole di mezzo mondo sempre e ad ogni costo.