ReconquistaCosì Zemmour sdogana l’antisemitismo ed esalta gli estremisti

Nello scontro a distanza con Bernard-Henri Lévy il candidato alla presidenza di religione ebraica ha fatto ricorso, più volte, ai soliti squallidi cliché razzisti. Negli ambienti più a destra la sua stessa figura viene vissuta come un lasciapassare: finalmente qualcuno dice ciò che pensiamo

AP Photo/Rafael Yaghobzadeh

La candidatura alla presidenza francese di Éric Zemmour scatena in Francia e altrove una certa inquietudine, o forse addirittura il panico. Anche se sarà (probabilmente) Macron il vincitore delle prossime elezioni, la sua eventuale vittoria verrà comunque ricordata come quella che ha liberato i francesi, e non solo loro, dalla paura di un antico anche se edulcorato fascismo, sempre in agguato in Europa.

Sto esagerando? Non proprio. Zemmour, ebreo di origine algerina, è accusato da Bernard-Henri Levy di fascismo, negazionismo, revisionismo, ed è stato già condannato due volte da un tribunale francese per incitazione all’odio razziale.

Già prima che iniziasse la sua campagna presidenziale ufficiale si era divertito a puntare un fucile, durante una visita alla fiera della sicurezza a Parigi, contro i giornalisti, minacciandoli. A suo dire, per scherzo.

Poi, sui principali media francesi, ha infuocato per mesi il dibattito dicendo che, con la strage del Bataclan, è esplosa in Francia una vera e propria guerra civile, che bisogna combattere e vincere. Malgrado tutto ciò, o forse proprio grazie a questo, il candidato alla presidenza francese continua a far parlare di sé. Il suo primo giorno di campagna elettorale a Villepinte (piccolo comune alla periferia di Parigi) è finito, infatti, in una rissa tra i partecipanti.

Zemmour ha lanciato anche il suo nuovo partito, con il nome di “Reconquête” (riconquista), puntando, come si sa, al tema dell’identità nazionale minacciata sia dall’Islam radicale che dall’Islam tout court e opponendosi, anche, al presunto declino di un Occidente rassegnato a subire l’immigrazione incontrollata. Per lui la Francia si è fatta piccola, subisce, è totalmente domata, piegata, come se non fosse consapevole del disastro umano provocato dalla sostituzione etnica in corso.

Alle accuse di razzismo scagliate contro di lui da Bernard-Henri Lévy, risponde che non ha nulla contro gli stranieri ma preferisce i francesi, il che è come dire che, essendo inferiore ai francesi, nessuno straniero è degno di abitarne il territorio. Lo infanga moralmente, spiritualmente. Occorre, quindi, riappropriarsi della Francia per salvarla dalla morte a cui altrimenti sarebbe destinata.

Dunque vorrebbe salvare il suo Paese dalla presunta invasione straniera. Ma, secondo lui, chi sarebbero gli stranieri da espellere, possibilmente da tutta l’Europa fraternamente stretta, e governata dai più forti? I jihadisti e i salafiti? Certo, loro, i più spregevoli di tutti, ma pure i semplici migranti, ma non solo, anche altri, aggiungo io. Chi sarebbero questi altri? Semplicemente tutti quelli che non la pensano come lui, quelli che non credono che la Francia e l’Europa siano in pericolo imminente; in pratica, coloro che si dichiarano francesi o europei e lo sono anche di fatto, ma non nell’anima. Insomma, chi osa dissentire dalla sua visione, chi non si riconosce nel suo appello identitario.

Non è l’estremismo di Zemmour, unito al suo carisma e al suo fascino, a fare di lui una figura pericolosa: a essere pericoloso è piuttosto il fatto che lui sia ebreo, lo rivendichi, eppure allo stesso tempo sdogani l’antisemitismo.

Zemmour, quando accusa alcuni ebrei francesi di non essere dei veri patrioti francesi perché troppo legati allo Stato d’Israele, non ritira fuori un vecchio stereotipo antisemita “dell’ebreo non assimilabile”? È vero, nell’ebraismo esiste un’identificazione tra religione e nazionalità, ma Zemmour manipola questa convinzione religiosa per dimostrare che un ebreo francese rischia di riconoscere solo Israele come sua vera patria, e quindi non si integrerà mai completamente in altre nazioni.

E quando dice di Bernard-Henri Levy che incarna la figura assoluta del traditore, non ritira fuori, anche qui, lo stesso stereotipo antisemita? Levy non è, per lui, un doppiogiochista che da quarant’anni, pur essendo francese, non fa che denunciare e incolpare i francesi? «Il suo impegno è sempre contro la Francia. Il suo internazionalismo è ancora anti-francese (…) Difende i curdi e Israele perché se ne frega della Francia e dei francesi. Non solo è un traditore della Francia, ma è anche, per questa ragione, il più grande produttore di antisemitismo nel mondo», conclude Zemmour. Levy, se mai, ricorda ai francesi, in modo bruciante, quel che vorrebbero dimenticare, cioè Vichy, la resa, l’onore perduto. È stato il collaborazionismo (che Zemmour difende) a disgustare Levy, la scelta di alcuni francesi in favore dei vincitori. Fatta non per paura o opportunismo, ma perché erano sinceramente filonazisti.

La grande attenzione che l’Occidente giustamente riserva ai fanatici islamici, e la lotta contro questo fenomeno che vorrebbe ingaggiare, può funzionare, insiste Levy, solo se non ci si dimentica come nel nostro stesso cuore, nel cuore dell’Europa, sia nato l’inferno.

Per giustificare il suo ultranazionalismo, Zemmour ha dichiarato di recente che l’ebraismo, in realtà, consiste in una legge, quella mosaica, una terra, e un popolo, e che quindi l’ebraismo vero, quello che lui pratica, è molto vicino all’ideologia sovranista.

Falso. L’ebraismo non consiste in questo: gli ebrei non si radicano mai, la terra rimane sempre “promessa”, anche se conquistata e abitata. È triste sapere che ci siano ebrei che vedono Zemmour come il loro nuovo eroe per i suoi commenti razzisti contro gli arabi. Ma si tratta di un abbaglio, o di una strumentalizzazione: Zemmour non fa che realizzare un vecchio sogno dell’estrema destra, cioè di avere proprio un ebreo che la scagiona da tutti i suoi crimini, compresa la peste dell’antisemitismo.

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