Uno dei pochissimi scatti di nervosismo – forse l’unico che si sappia – Mario Draghi lo ebbe durante uno dei tanti incontri con i leader sindacali, a ottobre, quando a un certo punto, evidentemente stanco dei soliti tiri e molla nei quali Cgil Cisl e Uil sono maestre, addusse una scusa («altri impegni istituzionali») e abbandonò la sala Verde lasciando tutti di stucco. Poche ore dopo, in un discorso pubblico, si rivolse ai sindacati con inequivocabili parole: «Pensate ai lavoratori di domani». Una stilettata mica male.
A poco più di un mese da quello scontro inatteso, e dopo altri incontri che nel frattempo si sono susseguiti (mai si era vista una presenza così continua dei leader sindacali a palazzo Chigi), oggi pomeriggio il presidente del Consiglio riceverà nuovamente Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri per aprire insieme il dossier-pensioni. Solo un primo incontro dunque, già preventivato (non è “merito” dello sciopero), perché poi si entra nel periodo delle feste e quindi nella Grande Corsa per l’elezione del capo dello Stato, la trattativa sarà dopo tutto questo, e non si sa in quali condizioni e quali protagonisti… E però quello di oggi è un incontro che potrà far luce sul clima che c’è tra governo e sindacati, dopo che nel frattempo è successo qualcosa d’importante: lo sciopero generale di venerdì scorso proclamato dalla Cgil e dalla Uil (con la rottura con la Cisl).
Una scelta che ha indispettito Draghi, oltre che il mondo politico più vicino ai due sindacati, mettendo in difficoltà non solo Enrico Letta ma soprattutto Andrea Orlando, il ministro del Lavoro che nell’esecutivo è un po’ il portavoce delle istanze sindacali che si è trovato di fronte una protesta quantomeno sproporzionata (otto ore di sciopero si proclamano in casi davvero molto gravi). Mai nella storia della Repubblica i partiti della sinistra o centrosinistra sono stati così fisicamente lontani dai sindacati. Meglio, dalla Cgil.
Mai alle manifestazioni in concomitanza con uno sciopero generale si era avvertita l’assenza di leader e dirigenti progressisti. Venerdì a piazza del Popolo c’era solo Nicola Fratoianni, capo di Sinistra italiana, che, con tutto il rispetto, non può certo essere insignito del ruolo di capo della sinistra e nemmeno di un suo pezzo rilevante. Il Pd non c’era. Di solito, nelle occasioni in cui non c’è piena consonanza, in piazza ci va almeno un capogruppo, qualcuno della segreteria. Stavolta niente, da Enrico Letta in giù. Lo stesso dicasi per tutti gli altri gruppi e partiti del fantomatico “campo largo”. Un isolamento politico di Landini impressionante.
Peraltro, al di là delle stucchevoli polemiche sulle cifre reali dell’adesione allo sciopero (siamo ormai al ridicolo come nelle solite discordanti cifre sulle manifestazioni, quando la Questura dà sempre una cifra almeno metà della metà di quella degli organizzatori), al di là di questo aspetto, dicevamo, l’accoglienza generale del Paese nei confronti di questo sciopero che anche qui abbiamo definito “politico” non è stata proprio entusiasta. È parso a molti – fatta salva la piena legittimità dell’iniziativa – che Landini e Bombardieri abbiano forzato sul malessere che indubbiamente esiste nel Paese per riaffermare un protagonismo politico che il sindacato in questa lunga fase sta perdendo.
La Cisl, più attenta ai contenuti, è stata alla larga da uno sciopero che non solo non ha bloccato il Paese ma che non sembra aver riaperto i canali con quei pezzi fondamentali di società che mancano all’appello da tanto tempo, i giovani in primis. I quali, a proposito della riforma delle pensioni, sono effettivamente al centro delle rivendicazioni sindacali. I sindacati restano convinti che ci possa essere ancora lo spazio per ragionare sulla flessibilità in uscita, in un sistema dove l’età conti fino a un certo punto rispetto ai contributi versati, vale a dire Quota 41. Ma questo sistema costerebbe troppo, per Draghi. La trattativa sarà dunque molto complessa, anche perché ogni partito pianterà la sua bandierina.
In ogni caso, la domanda vera è se lo sciopero generale – una giornata che è andata così così – abbia rafforzato il potere contrattuale di Cgil Cisl e Uil (i cui rapporti tra loro sono ovviamente peggiorati) o al contrario lo abbia indebolito.
Oppure, né l’una né l’altra ipotesi: a conferma che la prova di forza di venerdì non è servita a niente. Ed è forse questa la novità: normalmente gli scioperi generali rafforzano i sindacati, non questa volta. Ma si può star certi che non è intenzione di Draghi mettere Landini più in difficoltà di quanto già non sia, e per colpa sua.