Leather ConnectionI grandi marchi di moda contribuiscono alla deforestazione dell’Amazzonia

Le catene di approvvigionamento globali del fashion sono tra i responsabili del disboscamento del polmone verde del pianeta: c’entra la produzione di pelle, che si regge su sistemi che distruggono gli ecosistemi più delicati

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Lvmh, Prada, H&M, Zara, Adidas, Nike, New Balance, Ugg… cos’hanno in comune tutti questi marchi di moda? Qualcosa che non tutti sapremmo individuare di primo acchito: il loro potenziale ruolo nella deforestazione in Amazzonia.

Una nuova ricerca sulle complesse catene di approvvigionamento globali dell’industria della moda ha dimostrato come il settore rischia di contribuire al disboscamento nella foresta pluviale amazzonica per via delle sue connessioni con concerie e altre aziende coinvolte nella produzione di pelletteria nella zona. Il report, pubblicato lunedì dall’ong Stand.earth, ha puntato i riflettori su più di 80 fashion brand, tra i più famosi in tutto il mondo, e i loro molteplici legami con aziende esportatori di pelle note appunto per il loro impatto sulla deforestazione dell’Amazzonia.

Lo studio, basato su quasi 500mila righe di dati, ha affermato che 6,7 milioni di ettari di foresta sono stati persi nel bioma amazzonico nell’ultimo decennio (2011-2020), e identifica Jbs, la più grande azienda di carne bovina/pelle in Brasile, uno dei più elevati contributori alla deforestazione nello stato. Svariate prove, raccolte nel corso degli anni, sembrano infatti collegare Jbs al bestiame fornito da una fattoria nell’Amazzonia, che è stata sanzionata per deforestazione illegale.

Nel report si legge: «Tutte le aziende di moda che si riforniscono direttamente o indirettamente da Jbs tramite produttori di pelli sono quindi legate alla deforestazione della foresta pluviale amazzonica. Inoltre, questi studi mostrano anche che mentre Jbs è il più grande esportatore di pelle e il più implicato nella deforestazione, questo problema è endemico dell’intera industria della pelletteria».

Questi dati non dimostrando un collegamento diretto tra i brand di moda analizzati e la deforestazione dell’Amazzonia. Tuttavia, i risultati contraddicono e mettono direttamente in discussione le politiche recentemente annunciate da una serie di marchi inclusi nel sondaggio contro l’approvvigionamento legato alla deforestazione.

Delle 84 aziende analizzate nel report, 23 (tra cui Coach, Lvmh, Prada, H&M, Zara, Adidas, Nike, New Balance, Ugg e Fendi) hanno politiche esplicite contro la deforestazione. I ricercatori però ritengono, sulla base delle loro scoperte, che quelle 23 aziende stanno probabilmente violando le proprie policy, poiché sono stati appunto individuati collegamenti con Jbs e altre concerie e produttori che a loro volta hanno collegamenti con la deforestazione in Brasile. I risultati mettono quindi in dubbio gli impegni aziendali. La casa di moda LVmh, ad esempio, è risultata avere un alto rischio di collegamenti con la deforestazione dell’Amazzonia, nonostante il fatto che all’inizio di quest’anno il marchio si fosse impegnato con l’Unesco per proteggere proprio questa vulnerabile regione.

«Dato che un terzo delle aziende prese in esame dispone di un qualche tipo di politica in atto, ci aspettavamo che ciò avrebbe avuto un qualche tipo di impatto [positivo] sulla deforestazione» – ha affermato Greg Higgs, uno dei ricercatori coinvolti nel progetto – «Invece, il tasso di deforestazione è in aumento, quindi le politiche non hanno alcun effetto reale». E i numeri parlano chiaro.

Secondo le ultime stime, infatti, per soddisfare la domanda dei consumatori di portafogli, borse e scarpe in pelle, l’industria della moda dovrà macellare 430 milioni di mucche all’anno entro il 2025. Gran parte della pelle in accessori e abiti che abbiamo nei nostri armadi proviene da bovini allevati nella foresta amazzonica. E proprio l’allevamento del bestiame è considerato una delle principali cause di deforestazione, poiché gli alberi vengono distrutti per trasformare la terra in aree di pascolo (53 milioni di ettari distrutti nel bacino amazzonico nel 2017, rispetto ai 14 milioni nel 1985, secondo la piattaforma Mapbiomas, che si occupa di mappare annualmente l’uso e il consumo del suolo in Brasile).

Ma non solo. Una recente ricerca mostra che, ancora nel 2020, il 48% della filiera della moda è legata alla deforestazione e a tutto ciò che ne consegue (emissioni di gas serra, biodiversità in via di estinzione, ecc.).

Sapevate ad esempio che occorrono dai 70 ai 100 milioni di alberi all’anno per produrre fibre tessili utilizzate in tutti i nostri vestiti? E si stima che la domanda di taglio degli alberi per la produzione di tessuti raddoppierà entro il 2050. Come se non bastasse, il 70% di tutti gli indumenti prodotti con tali fibre finisce ogni anno nelle discariche. Ciò significa che, dopo tutto questo massiccio sfruttamento dell’ambiente, solo il 30% dei nostri vestiti arriva effettivamente al riciclaggio. Il resto contribuisce a un maggior inquinamento.

Un’altra ricerca ha dimostrato che l’industria del bestiame è il singolo più grande fattore di deforestazione della foresta pluviale amazzonica e l’industria della moda è un importante ingranaggio nella macchina per l’esportazione della pelle. Tra attività legate in qualche modo al mondo del fashion, attività agricole intensive volute dal presidente Jair Bolsonaro e incendi sempre più frequenti, il polmone verde della Terra ha subito un preoccupante declino negli ultimi tempi, raggiungendo ad oggi i livelli di deforestazione più alti degli ultimi 15 anni.

Ci sono un’enorme quantità di problemi che derivano da questa deforestazione. Non solo il cambiamento climatico, ma anche la desertificazione, l’erosione del suolo, la diminuzione dei raccolti, le inondazioni, l’aumento dei gas serra nell’atmosfera e la distruzione degli habitat naturali degli animali. Secondo uno studio pubblicato lo scorso aprile sulla rivista accademia Nature Climate Change, tra il 2010 e il 2019 l’Amazzonia brasiliana ha emesso circa il 18% in più di carbonio rispetto a quello assorbito, con 4,45 miliardi di tonnellate rilasciate, rispetto ai 3,78 miliardi di tonnellate immagazzinate.

Sembra proprio che alcuni ancora non riescano a comprendere che il problema della deforestazione e ciò che essa comporta non ricade solo sulle popolazioni limitrofe, ma piuttosto sul mondo nel suo insieme. La graduale scomparsa della foresta pluviale brasiliana è infatti uno dei “punti di non ritorno” individuati dagli esperti che potrebbe portare a un cambiamento drammatico e irreparabile del nostro sistema climatico e ambientale, cancellando per sempre il mondo come lo conosciamo oggi.

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