Il livello economico è tornato a livelli pre-pandemia, anzi: li ha superati. Se si guarda all’insieme, c’è da sorridere. Come sottolinea questo articolo dell’Economist, considerando i 38 Paesi Ocse più ricchi si vede che il “rimbalzo” non solo c’è stato, ma è adato meglio del previsto. Gli economisti stessi ne sono rimasti sorpresi.
Alcuni indicatori suggeriscono un certo ottimismo: la disoccupazione, a livello medio, è al 5,7% (in linea con quella del Dopoguerra). E il reddito aggregato per famiglia, tenendo conto dell’inflazione, è oltre i livelli pre-crisi. Questo, come si diceva, se si guarda all’insieme.
Il problema è che, se si guarda Paese per Paese ci sono differenze e discrepanze sempre più marcate. Per dirla con il magazine britannico, la pandemia ha creato vincitori e vinti. Il risultato è un mondo a due velocità (o anche di più) che segnerà tutto il 2022.
Per misurare queste distanze si è guardato a cinque valori economici e finanziari, confrontandoli con i livelli del 2019: il Pil, il reddito per famiglia, la salute del mercato azionario, la spesa in investimenti e il livello di debito statale dei 2 Paesi più ricchi. Sono andati bene? Sono andati male? Il risultato è, appunto, molto variegato.
I veri vincitori sono i Paesi nordici. La Danimarca si aggiudica il primo posto, con ottimi risultati su tutti i fronti (meno forse sugli investimenti). La Svezia è terza, con un buonissimo posizionamento proprio sugli investimenti, anche se va meno bene sul reddito familiare. Quarta è la Norvegia, ha visto un crollo.
Gli Stati Unti se la cavano – sono al decimo posto – mentre altri non possono dire lo stesso. L’Italia è 15esima: ha visto restringersi il Pil e il reddito familiare, ma per fortuna sono cresciuti gli investimenti. Germania e Giappone 20esimi, con prestazioni basse su tutti i fronti, la Gran Bretagna segue subito dopo, lasciando per ultima la Spagna.
È una fotografia che riflette, quasi al millimetro, sia le diverse dinamiche sviluppate dalla pandemia sia le politiche messe in campo dai rispettivi governi per salvare le economie di ciascun Paese. Il reddito delle famiglie, per esempio, comprende anche i sostegni erogati dallo Stato per contrastare la perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, come è stato fatto negli Stati Uniti e in Canada. In altri Paesi si è preferito concentrare gli sforzi a protezione delle aziende (come nell’area baltica) o a rafforzare la sanità. In Austria e in Spagna non si è protetto il lavoro né si sono offerte forme di compensazione, lasciando così il reddito intorno al 6% al di sotto del livello pre-pandemia.
La Gran Bretagna si trova soffre gli alti livelli di contagi, che hanno bloccato il funzionamento dell’economia, e subisce anche il calo degli investimenti stranieri nelle aziende nazionali, forse – suggerisce l’Economist – segno dell’incertezza provocata dalla Brexit, dai bassi tassi di interesse e dal fatto che sul territorio ci fossero poche aziende che hanno beneficiato dalla pandemia. L’America, che invece ne conta parecchie, ha visto crescere i rendimenti sotto questo aspetto. E lo stesso vale per i Paesi nordici: in Danimarca, per capirsi, tre delle aziende più grandi per capitalizzazione di mercato sono nel settore della sanità.
Gli investimenti, che sono un buon termometro del livello di fiducia per il futuro, riflettono le nuove opportunità aperte dal Covid-19 e dalle restrizioni, a partire da quelli fatti in ambito tecnologico (e in America sono stati tanti). Mentre, per converso il crollo norvegese di cui si è accennato sopra dipende dal progressivo ritiro dal settore oil-and-gas.
Sul debito si vedono i picchi di America, Gran Bretagna e Canada. L’Italia ha sempre il suo gigante sulle spalle, con un’economia indebolita dalle restrizioni, soprattutto nel settore dei servizi turistici, che hanno pagato la minor mobilità a livello continentale. Eppure la sua economia, secondo gli esperti, riuscirà a crescere del 4,6% nel 2022, mentre la media è del 3,9%.
Il vero problema è che, secondo le previsioni, chi finora ha fatto meglio continuerà a fare bene e, secondo gli esperti, il Pil dei tre Paesi meglio piazzati sarà del 5% più alto rispetto al livello pre-pandemia, mentre per i peggiori sarà soltanto dell’1%. Il tutto senza contare gli effetti della variante Omicron, che con ogni probabilità rallenterà tutti e tutto. E accentuerà il divario che c’è già.