Con il turno infrasettimanale è andata in archivio la prima metà di stagione in Serie A. La classifica riporta un paio di asterischi, perché Udinese-Salernitana non si è giocata, rinviata a data da destinarsi a causa del Covid: la formazione campana non è partita per Udine, seguendo le disposizioni dell’Asl che ha vietato alla squadra la partecipazione a eventi sportivi.
È una traccia della nuova ondata di contagi sul massimo campionato di calcio italiano. E potrebbe non essere l’unica. Sul tavolo del governo, infatti, ci sono diverse ipotesi per limitare gli ingressi negli stadi nelle prossime settimane e nei prossimi mesi: sembra di tornare al 2020.
Tra le opzioni c’è quella di consentire l’accesso solo a chi è munito di Super Green Pass (per dimostrare di essere vaccinati), imponendo però anche di mostrare l’esito negativo di un tampone all’ingresso. Sarebbe una stretta molto forte sul calcio e sui conti dei club, ma i numeri dei contagi impongono contromisure immediate: con oltre 100 morti al giorno, la variante Omicron responsabile del 28% dei nuovi casi e l’aumento complessivo delle positività è sempre più necessaria un provvedimento di questo tipo.
Eppure il nostro campionato è un caso virtuoso in Europa, con una percentuale di giocatori vaccinati vicina al 100% e protocolli di sicurezza che fin qui stanno funzionando molto bene – per i giocatori e per il pubblico.
Nel resto del continente la situazione è ben diversa. In Germania – il primo campionato a ripartire a giugno 2020, dopo il lockdown – la Bundesliga, la federazione e le istituzioni nazionali hanno già stabilito un nuovo protocollo per gli impianti sportivi.
Già a fine novembre sono state decise nuove limitazioni per l’accesso del pubblico in stadi e palazzetti come quelli del basket e della pallavolo. Lo stesso vale anche per l’Olanda, dove la decisione ha fatto arrabbiare molti tifosi che non hanno potuto assistere dal vivo al match di cartello dell’Eredivisie tra Feyenoord e Ajax – una delle partite più sentite della stagione.
Sono tornate le partite con gli spalti vuoti o scarsamente popolati. Quelli che l’anno scorso erano stati ribattezzati ghost games, partite fantasma. Rory Smith del New York Times nella sua newsletter settimanale ha scelto proprio di ricollegare il filo al primo post-lockdown: «Marzo 2020 sembra un mondo lontano, una vita fa, ma siamo di nuovo qui».
La Liga spagnola ieri ha presentato nuovo protocollo anti-Covid per disputare le partite del prossimo anno. Tra le nuove misure adottate ce n’è una che ha già fatto discutere: ogni squadra potrà posticipare solo due partite fino a marzo nel caso in cui il gruppo squadra presenti un elevato numero di positivi; da quel momento in poi non sarà più possibile rinviare le sfide e quindi saranno automaticamente delle sconfitte a tavolino. Il nuovo protocollo stabilisce anche linee guida per la convivenza quotidiana dei giocatori, gli spostamenti e l’utilizzo delle strutture delle diverse squadre, più diverse misure di prevenzione per squadre in trasferta e altri casi particolari.
L’Inghilterra è la nazione che sta avendo più difficoltà a riorganizzarsi in questa fase, con la Premier League di calcio che sembra sintetizzare le difficoltà di tutti i campionati e – per certi versi – anche degli altri sport. La premessa da fare è che la Premier League è, tra i grandi campionati europei, quello con i dati più bassi per quanto riguarda gli atleti vaccinati. Il dato ufficiale non esiste perché sono informazioni non divulgate, ma le stime parlano di circa un 25% di calciatori non vaccinati. La conseguenza più immediata si è vista nell’ultima settimana di calcio: nove partite rinviate, sei solo lo scorso weekend.
Nonostante l’alto numero di contagi la massima competizione calcistica inglese ha deciso di disputare comunque le partite del Boxing Day, il tradizionale appuntamento del 26 dicembre: i 20 club, in una riunione, hanno deciso di non modificare il calendario, per cui tutte le tre giornate in programma da Santo Stefano fino al 3 gennaio disputeranno regolarmente.
Per evitare ulteriori rinvii, i funzionari della lega hanno chiesto ai club di utilizzare i giocatori delle giovanili, in modo da non restare scoperte. È stato chiesto anche di non programmare i match delle squadre Under-23 poco prima di una partita della Premier League, proprio per garantire la disponibilità del maggior numero possibile di giocatori. I club dovranno scendere in campo finché avranno a disposizione almeno 13 giocatori di movimento e un portiere, giovani compresi.
Sembra una decisione avventata, e forse lo è. Però, prendendo ancora spunto dal New York Times, «non c’è una vera logica dietro un’eventuale sospensione del campionato, la variante Omicron sta attraversando l’Inghilterra e il mondo, non si prenderà una pausa per il periodo delle feste. E se una settimana di pausa potrebbe aiutare i club e i giocatori a rimettere insieme i pezzi, nel giro di un paio di settimane si tornerebbe punto e a capo».
D’altronde, per tutelare i bilanci di società e leghe garantire la continuità degli eventi sportivi è l’unica soluzione.
Lo insegna anche lo sport americano talmente in crisi che in questo articolo il magazine online Deadspin conia il termine Covidmania.
Tra le varie leghe professionistiche, la Nba si trova nel momento più critico della stagione. La lega di basket era stata un esempio perfetto di controllo dei contagi nell’estate 2020, con la bolla di Orlando creata ad arte per terminare la stagione: 100 giorni a Disney World, partite una dietro l’altra, zero casi positivi.
Oggi però lo scenario è ben diverso. Con la variante Omicron che sferza tutti gli Stati Uniti, i contagi non risparmiano i giocatori. Da qualche settimana a questa parte tutti i giorni c’è almeno una partita rinviata a data da destinarsi, e quando si va in campo le squadre sono decimate dalle assenze, costrette a schierare giocatori che normalmente non avrebbero minuti. In più domani c’è il Christmas Day, uno dei momenti più attesi della stagione, con tutte le partite di cartello piazzate una dietro l’altra per tenere gli spettatori incollati allo schermo tutto il giorno: il rischio di arrivare alla serata di gala con l’abito sdrucito è sempre più alto.
In settimana il board della Nba e il sindacato dei giocatori (Nbpa) hanno raggiunto un accordo per permettere alla lega di trovare un rimedio e mettere una toppa a questa complicata situazione. Per la regular season si è stabilito che le squadre possono aggiungere un giocatore al gruppo per ogni positivo. Ovviamente i rincalzi dovranno sopperire per tutto il periodo d’assenza dei positivi. Inoltre sono previsti anche sgravi fiscali per i nuovi giocatori messi sotto contratto e sono state rimosse alcune limitazione alla firma di contratti con i giocatori della G-League (la lega professionistica di sviluppo in cui giocano le squadre satellite delle franchigie di Nba). L’obiettivo finale è il più pragmatico possibile: avere sempre a disposizione almeno otto giocatori.
Anche il football americano, l’hocket e il college basket sono stati duramente colpiti dal virus nelle ultime due settimane. La Nfl ha già posticipato alcune partite, e generalmente questi cambi di programma sono fatti molto malvolentieri nel football americano. Le squadre della Nhl (hockey sul ghiaccio) stanno adottando un approccio più proattivo, chiudendo le operazioni per alcuni giorni sulla scia della propria ondata di infezioni.
Tutto il mondo dello sport deve riprogrammarsi, di nuovo, proprio quando pensava di poter far girare a pieno ritmo il suo motore. Il 2020 era stato l’anno della ripartenza, il 2021 sembrava quello del ritorno alla normalità – con tanto di spettatori sugli spalti – ma si sta chiudendo nel peggiore dei modi.
La sensazione è che nessuno abbia la risposta giusta ai nuovi dubbi e ai nuovi interrogativi sollevati dall’aumento dei contagi. Ognuno prova a reagire come può, cercando la strada migliore per arrivare al termine della stagione senza perdere troppo a livello sportivo, economico, d’immagine. Sembra di essere tornati al 2020. Proprio quando lo sport di tutto il mondo pensava di aver messo già tutto definitivamente alle spalle.