Riccardo Uleri è un signore alto e concreto, punta all’essenziale e non è tipo da farsi prendere da facili entusiasmi, soprattutto dopo quel 2020 che ha visto in due mesi ribaltare completamente tutte le sue aspettative. Alla guida di un’azienda in grande espansione, Longino&Cardenal, quotata in borsa e leader di riferimento assoluto per la fornitura di materie prime di grande livello all’alta ristorazione, ha dovuto ribaltare tutti i suoi piani e rimettere in gioco le sue prospettive, cambiando in corsa un business che ha sostanzialmente inventato lui e che non era mai stato così florido come nel 2019. A pochi giorni dall’inizio del primo lockdown ha iniziato a proporre ai privati gli ingredienti di qualità che fino a qualche giorno prima erano esclusivo appannaggio degli chef, e grazie a questa potente intuizione e a un team che è stato in grado in pochi mesi di mettere a regime un business tutto nuovo, ha superato con onore questa crisi, e oggi può guardare con ottimismo al futuro. «La storia del 2020 la conosciamo – racconta a Gastronomika – tutti i nostri clienti hanno chiuso per la maggior parte dell’anno, con un impatto pesante per un mercato che è stato inesistente, a parte una piccola parentesi estiva. Noi, da parte nostra, abbiamo colto l’occasione per rinnovare il sistema organizzativo e tecnologico interno e abbiamo creato il nostro e-commerce, che è stato la scintilla che ci ha permesso di reagire alla situazione. Era già nei progetti dell’azienda, ma questo periodo di fermo dei ristoranti ci ha dato l’opportunità di studiarlo e strutturarlo al meglio. Alla luce della complessità del lavoro emersa nella progettazione, sarebbe stato difficile costruire questo progetto in momento “normale”. Alla fine è stata un’opportunità avere tempo, concentrazione e risorse per poter realizzare molto bene il progetto. Una delle poche cose positive in un periodo e in un mercato negativo».
Perché oggi questa costola è uno degli asset dell’azienda, che ha saputo surfare sul mare in burrasca del periodo con grande determinazione, nonostante i problemi che anche il 2021 ha portato con sé. Prosegue Uleri: «Il primo semestre del 2021 è stato uguale se non peggiore rispetto all’anno precedente. È stato tutto chiuso fino alla fine di aprile, a parte una parentesi a febbraio e solo per il pranzo. A maggio c’è stata un’apertura solo all’esterno, ma sappiamo bene che solo la metà dei ristoranti italiani hanno un dehors. Tutt’altra cosa è stata invece il secondo semestre: tutto è ripartito al 100%, soprattutto la provincia. Certo, manca ancora una parte di turismo extra europeo, gli americani e gli asiatici non sono ancora tornati e sono mancati nella stagione turistica. Manca ancora il turismo business, quello dei congressi, e il turismo d’affari dei manager. Questo naturalmente ha impattato meno sulle città di provincia, dove questo tipo di turismo non arriva. E in provincia secondo il nostro osservatorio si è tornati ai livelli o addirittura sopra il 2019. La stagione turistica vacanziera è andata molto bene, le località di villeggiatura hanno fatto un’ottima stagione, che è durata a lungo, iniziata tardi ma finita a ottobre inoltrato. Quelle che hanno sofferto molto sono le città d’arte: Firenze, Roma e Venezia sono rimaste ai livelli 2020 e Milano è andata bene a livello di ristorazione e un po’ meno bene sugli hotel. La capitale economica sta però velocemente recuperando e con questi ultimi mesi dell’anno la situazione dovrebbe normalizzarsi e mi aspetto che migliori ancora un po’. Gli eventi e le fiere sono iniziati: non hanno l’affluenza del 2019 per mancanza di stranieri ma da qualche punto bisogna pur ripartire. Quindi in sintesi, vedo un buon finale per il 2021 e mi aspetto un 2022 almeno al livello 2019».
E se è vero che gli italiani hanno molta più voglia di uscire, di sicuro hanno anche più voglia di viziarsi e coccolarsi, e di concedersi qualche sfizio in più rispetto al passato, come ha notato l’imprenditore: «C’è una cosa che mi ha colpito molto: tutti temevano che il mercato si sarebbe livellato verso il basso, con i ristoranti impegnati a recuperare le perdite subite risparmiando sulle materie prime per reintegrare parte del reddito mancato. Invece è successo l’opposto: i ristoranti chiedono sempre di più prodotti più di qualità. Il cliente esce meno di prima, un po’ per perdita di abitudine, un po’ per timore: ma quando esce vuole stare bene, e verso il suo ristoratore ha pretese più alte rispetto al 2019. Se prima andare al ristorante era una routine, adesso i clienti hanno riflettuto con più consapevolezza, hanno cucinato a casa e hanno studiato. Probabilmente le persone si sono informate e sono incuriosite e adesso quando escono hanno maggiore consapevolezza e più voglia di uscire facendo un’esperienza degna, dopo la clausura. Non sono disposti a sprecare quest’opportunità e questo porta a una richiesta di prodotti migliori di prima. Dal nostro osservatorio il livello è salito decisamente».
All’entusiasmo dei clienti, corrisponde una pari eccitazione da parte dei gestori dei locali: «I ristoratori, dal canto loro, sono tutti molto entusiasti, confermano di essere pieni, stanno facendo un’ottima stagione e c’è molto ottimismo. Da tutti percepisco una buona prospettiva per il futuro. Lamentano come negatività la mancanza del personale e un po’ la crescita dei costi delle materie prime e delle spese generali per energie, materiali, ristrutturazioni. Ma io spero che questa sia una questione che andrà a stabilizzarsi. A inizio di giugno c’è stata una carenza di materie prime importante: i produttori non erano preparati a una ripartenza così veloce. Il mercato è ripartito più velocemente dell’anno scorso e tutti si sono trovati spiazzati. Nel tempo però questa cosa si è gestita e nel nostro settore è quasi riassorbita completamente».
Longino&Cardenal serve anche il mercato americano e quello asiatico, e dal punto di vista di Uleri quello che sta succedendo in Italia è un po’ diverso da quello che capita nel resto del mondo: «Nel mondo la situazione è variegata. Un’isola felice è Dubai: non hanno quasi mai chiuso, a parte un lockdown severo nel 2020, ma sono riusciti subito a recuperare e per loro il 2020 è stato come il 2019. Gli spazi sono grandi, i luoghi all’aperto hanno aiutato. Gli Stati Uniti hanno avuto una sola grande ondata, sono stati chiusi dalla primavera 2020 fino a maggio 2021, soprattutto nello stato di NY. Oggi però sono ripartiti con grande slancio, e sembra che la crisi sia quasi dimenticata. Purtroppo Hong Kong ha ancora i confini chiusi: stanno ancora inseguendo l’utopia dei contagi zero e anche se i ristoranti lavorano sulla clientela locale non c’è nessun tipo di turismo».
E per il 2022, che cosa si aspetta l’imprenditore per il settore della ristorazione? Risposta più che positiva, che per un uomo di solito prudente fa davvero ben sperare: «Mi aspetto un 2022 in grande spolvero: mi immagino tutto funzionante, un ritorno di fiere, trasferte, viaggi, e hotel di nuovo pieni. Mi aspetto una normalità piena, con tutti organizzati migliorati e con un’economia che tiri un po’ di più. I fondi in arrivo dall’Europa porteranno una crescita di punti percentuali che non vediamo da 20 anni e soprattutto per l’Italia mi aspetto un’economia frizzante. Come dopo tutte le crisi mi aspetto il rimbalzo. L’Italia rispetto a prima è un Paese dove è interessante investire, soprattutto nel nostro settore. Se guardo solo all’hotellerie, ci sono tantissime aperture interessantissime: tutte le grandi catene alberghiere stanno aprendo nel nostro Paese. E poi ho anche un’altra impressione: grandi chiusure non ce ne sono state. Forse il grande drammaticismo dell’anno scorso era sovradimensionato. Certo, gli operatori non hanno guadagnato, ma pochi ne sono usciti davvero con le ossa rotte. Il settore ha dimostrato una forte resistenza e adesso sono tutti con grande voglia e grandi aspettative».
Speriamo vada davvero così.