Mio figlio non ha mai mangiato una ciliegia, e non credo che ne mangerà mai una finché vivrà in questa casa, cioè per sempre. Mio figlio non ha nemmeno mai mangiato una caramella, perché le cose piccine e tonde hanno le stesse dimensioni della trachea e della sciagura. Tagliare in sicurezza, anche il brodo. Il pensiero magico di questi anni è il rischio zero: metti il casco per andare sul triciclo, non mangiare ciliegie, tu pensa che l’altro ieri è crollato un castello gonfiabile in Australia, figurati cosa può succedere sul brucomela dell’Idroscalo.
Non mangiare ciliegie è una privazione, ma il beneficio supera il rischio. Non conosco genitore vivente che non abbia un attacco di cuore quando vede il figlio cincischiare con il nocciolo. Io mi sono evitata il defibrillatore portatile, se proprio sarà si farà 10 anni di psicoterapia a carico mio, «quella stronza di mia madre non mi ha mai fatto mangiare le ciliegie, ed è per questo che ho iniziato con l’eroina». Le ciliegie non hanno il bugiardino, così come l’eroina.
La scorsa settimana mio figlio è stato male. Lui non sta mai male. Non avevo medicine in casa, solo sciroppi scaduti e fiale di ipertonica. In quei momenti ho pensato solo che non avevo la borsa per l’ospedale da tenere sotto al letto, uno non ci pensa mai e invece deve stare lì a scansare i guai, a confutare l’oroscopo. Ettore, all’analista però lo devi dire che tua madre ha deciso di andare ad abitare in una casa a 500 metri dall’ospedale, perché sì, perché non si sa mai, perché vuoi mettere il lusso della passeggiata alle 4 di notte.
L’infermiera mi ha chiesto se gli avessi dato qualche medicinale per il dolore, no signora infermiera, in casa non ne avevo, e lei mi ha guardato come se fossi una pazza che ai figli dà solo zucchero e omeopatia, quando invece sono solo una persona con una inesauribile fiducia nelle circostanze favorevoli.
Adesso sta bene, ho la credenza piena di medicine, medicine che prima di dare a lui assaggio, perché sì, perché non si sa mai, perché metti che ci hanno messo per sbaglio la candeggina, che mamma eroina, che presagio di un futuro nel boschetto di Rogoredo. A tre mesi i neonati fanno l’esavalente che contiene il vaccino contro difterite, tetano, pertosse, poliomielite, epatite B ed haemophilus influenzae di tipo B, qualunque cosa sia. Ci sono poi le vaccinazioni contro il menginococco e il rotavirus. A un anno ci sono quelle contro morbillo, parotite, rosolia e varicella. Virus inattivato sì, ciliegie no, perché sì, perché non si sa mai, perché la scienza è più sicura della natura.
Chi vi dice con feroce entusiasmo che non vede l’ora di vaccinare i figli, mente. Mente come mentono tutti, mente come quelli che ti dicono che il neonato dorme tutta la notte, mente come quelli che vogliono fare bella figura. Io invece penso spesso al volo Germanwings dove il copilota si è intenzionalmente schiantato insieme ad altri 150 passeggeri perché voleva ammazzarsi lui, cosa ne so io se ci sono vaccinatori pazzi in giro per Milano.
Sono tutti stati così clementi con gli indecisi, non vedo perché non possa essere lo stesso con i genitori che dicono «i bambini non si toccano» oppure «voglio aspettare». O forse non bisognava essere clementi? O forse non ce ne facciamo una ragione che vivere significhi avere degli inciampi di pensiero? Ci siamo messi a stirare gli stracci che poi facciamo volare?
I commenti più comuni sul vaccino per i bambini riguardano la paura di discriminazione tra vaccinati e non, mica la mia paura dei vaccinatori pazzi. Ci si preoccupa delle conseguenze sociali: gli inviti alle feste di compleanno, i buoni rapporti col vicinato, il bullismo vaccinale tipo «tu non puoi giocare perché non sei vaccinato». Io farò vaccinare mio figlio, ma non gli darò mai in mano una ciliegia.