«Inquina responsabilmente». In Francia, a partire da marzo, le pubblicità di automobili dovranno ricordare ai potenziali clienti, attraverso un asterisco o un altro segno che richiami l’attenzione, di considerare delle alternative al mezzo che compreranno. Tre opzioni saranno disponibili: «Considera il car sharing», «per i tragitti brevi, scegli di camminare o di andare in bici», «utilizza i mezzi pubblici per i tragitti quotidiani». Ogni frase dovrà essere seguita dall’hashtag #SeDéplacerMoinsPolluer, e le aziende che non rispettano le indicazioni rischiano una multa fino a 50mila euro.
Le nuove regole fanno parte della strategia nazionale per arrivare all’obiettivo di “zero emissioni nette” nel 2050, quando la Francia spera di non produrre più gas che causano l’effetto serra di quanto l’atmosfera sia in grado di assorbire.
La proposta mostra una certa sensibilità sul tema da parte delle autorità francesi, anche se, malgrado alcuni segnali importanti negli ultimi anni, l’ecologia stenta a imporsi come un tema centrale nell’agenda politica.
Emmanuel Macron aveva iniziato il suo mandato rispondendo in modo molto chiaro alla decisione del presidente americano Donald Trump di uscire dall’accordo sul clima di Parigi: «Make our planet great again». Questo atteggiamento, unito ad alcuni atti concreti come la nomina al ministero dell’Ambiente di Nicolas Hulot, figura popolarissima dell’ecologia nazionale, sembrava indicare una sensibilità particolare sull’ecologia.
In parte è stato così, come sottolinea un rapporto del think tank Terra Nova pubblicato il 22 dicembre 2021, che analizza la politica ecologica del mandato di Macron. «Il mandato che si sta per concludere è senza dubbio quello che ha fatto di più per promuovere la transizione ecologica. Ha messo sul tavolo tanti argomenti poco o non trattati durante i precedenti mandati (riduzione dell’occupazione di suolo, lotta alla deforestazione, promozione dell’economia circolare). […] Anche i finanziamenti pubblici stanziati per la transizione hanno raggiunto, grazie al piano di rilancio europeo, livelli record, vicini a quelli necessari per attuare la Strategia nazionale Low-Carbon. Il mandato si è concentrato in particolare, dopo la crisi dei gilet gialli, sull’accettabilità delle misure, in particolare attraverso un aumento degli aiuti per la conversione dei vecchi veicoli in auto a emissioni ridotte».
Marine Braud, la relatrice del rapporto, che ha lavorato come consigliera sia al ministero dei trasporti che a quello dell’Ecologia durante la presidenza Macron, riconosce tuttavia che tutto ciò non è abbastanza per raggiungere gli obiettivi fissati dallo stesso governo: «Malgrado gli investimenti record, le misure messe in atto non sono ancora sufficienti per allineare la Francia ai suoi obiettivi. Senza un cambiamento massiccio nei comportamenti, le emissioni di gas serra non diminuiranno abbastanza da garantire il raggiungimento del ‐40% delle emissioni entro il 2030, e ancor meno del ‐55% secondo il nuovo impegno europeo che la Francia ha contribuito ad adottare».
Il bilancio a luci e ombre riflette anche l’attenzione ondivaga che l’opinione pubblica rivolge alla questione ecologica. Durante i primi mesi di campagna elettorale per le presidenziali dell’aprile 2022 (primo turno il 10, secondo il 24), l’argomento è stato affrontato poco o nulla dai diversi candidati, concentrati su sicurezza, immigrazione, potere d’acquisto e naturalmente lotta alla pandemia.
I francesi sono coscienti del cambiamento climatico, sempre tra le prime posizioni nei sondaggi che chiedono ai cittadini qual è la loro prima preoccupazione. Tuttavia, quando i sondaggisti interrogano i francesi sulle priorità che guideranno il loro voto alle elezioni presidenziali, l’ambiente diventa improvvisamente meno rilevante. L’elettore medio pensa a cosa può fare la politica per migliorare la sua condizione personale, molto meno alle azioni necessarie a ridurre l’emissione di gas serra.
I verdi francesi, da sempre abbastanza presenti nel dibattito pubblico e ben organizzati, vengono da anni di ottimi risultati elettorali. Tuttavia stentano quando si tratta di contare davvero nella politica nazionale. A settembre 2021 hanno scelto il loro candidato alle presidenziali attraverso delle primarie molto partecipate. I 122.670 iscritti, un numero elevato se si considerano le primarie del 2011, quando votarono circa 33mila persone, hanno scelto Yannick Jadot, dopo uno scontro serrato e deciso per pochi voti, accompagnato da una grande copertura mediatica grazie ai dibattiti televisivi ospitati dai principali canali del Paese.
In genere questo si traduce in un aumento dei consensi nei sondaggi, una sorta di “premio alle primarie”: Valérie Pécresse, che ha vinto le primarie interne ai Républicains, il partito di centrodestra moderato, ha guadagnato quasi 10 punti nei sondaggi nei giorni successivi alla sua vittoria, lo scorso dicembre. Lo stesso era avvenuto per François Fillon e Benoit Hamon, nel 2016/2017. Ai Verdi non è accaduto nulla di tutto ciò: la politica ecologista è ancora minoritaria quando prova a competere per l’elezione presidenziale.
Nelle prime grandi interviste e nei dibattiti televisivi l’ecologia non sfonda, e i verdi sono inchiodati tra il 7 e l’8% nei sondaggi da mesi. Difficilmente sarà una pubblicità/progresso a cambiare la situazione.