Gli Stati Uniti si avvicinano a un punto di non ritorno. L’assalto a Capitol Hill di un anno fa è diventato il simbolo più rappresentativo della polarizzazione politica e sociale degli Stati Uniti. Quel momento di violenza antidemocratica da parte dei seguaci di Donald Trump è conseguenza di un processo di radicalizzazione in atto da tempo.
I fatti del 6 gennaio 2021 sono stati sorprendenti per tempismo e modalità, non concettualmente. Negli Stati Uniti degli anni Venti un presidente uscente, sconfitto alle elezioni, ha deciso di non accettare l’esito del voto e gettare benzina sul fuoco dei suoi sostenitori più agguerriti, li ha aizzati contro quelle istituzioni democratiche che lui stesso, in teoria, ancora rappresentava in una fase di transizione del potere.
«Viviamo tempi così impazziti che un assalto alla democrazia più antica del mondo eseguito in diretta televisiva, con i deputati e i senatori costretti alla fuga o asserragliati dentro gli sgabuzzini di Capitol Hill, è diventato un caso di cronaca, non un pezzo di storia, […] una zuffa da condividere su Twitter, una sciocchezza, un modo contemporaneo di fare politica», ha scritto il direttore Christian Rocca nell’editoriale di apertura del nuovo numero di Linkiesta Magazine con New York Times Turning Points 2022.
Oggi la grande maggioranza dei Repubblicani continua a credere alla bugia che le elezioni del 2020 siano state rubate dai Democratici, e si comportano di conseguenza. È passato più di un anno dal voto e nemmeno l’amministrazione Biden e i nuovi picchi dei contagi della pandemia riescono a sgonfiare le teorie del complotto.
«La politica negli Stati Uniti è diventata un argomento sempre più polarizzato, soprattutto a causa di una destra che si sposta sempre più all’estremo», ha scritto a dicembre Nicole Karlis su Salon. E oggi molti osservatori politici ritengono che la spaccatura sia così marcata da poter diventare irreversibile.
La frattura interna agli Stati Uniti parte da lontano, si è stratificata nel corso dei decenni, e solo con l’ostruzionismo dei Repubblicani nelle istituzioni democratiche degli anni ‘90, si è fatta più profonda: in quel periodo il Grand Old Party ha ripetutamente provato a far saltare i cardini su cui aveva poggiato la politica parlamentare fino a quel momento, ha voluto bloccare il funzionamento del Congresso, renderlo impotente, per poi incassare i dividendi elettorali di una politica populista.
In tempi più recenti, dalla vittoria presidenziale di Barack Obama nel 2008, l’America ha visto crescere esponenzialmente il numero di militanti di estrema destra. Gruppi che durante l’amministrazione Trump si sono allineati con la presidenza – che a sua volta non si è dimostrata schizzinosa, accettando qualunque forma di consenso, da qualunque parte venisse –, come gli Oathkeepers e i Proud Boys che erano tra i fomentatori dell’assalto a Capitol Hill.
«Quel 6 gennaio ci siamo resi conto che la divisione tra due Americhe molto distanti tra loro era arrivata a un punto critico: non c’era più niente di sacro, di intoccabile, nemmeno il Campidoglio», dice a Linkiesta Federico Leoni, giornalista di Sky Tg24 che ha ideato, curato e condotto “America Contro”, il nuovo programma dell’emittente che andrà in onda dal 9 gennaio ogni seconda domenica del mese alle 19:30, disponibile On Demand e sul sito skytg24.it.
La trasmissione vuole raccontare in maniera approfondita e dettagliata la società americana e le profonde spaccature da cui è segnata, in un lungo viaggio che si concluderà a novembre, quando negli Stati Uniti si terranno le elezioni di midterm per il rinnovo del Congresso.
Ospiti della prima puntata saranno l’intellettuale e linguista Noam Chomsky e Lorenzo Vidino, Direttore del Program on Extremism della George Washington University. Inoltre un’intervista a Jason Miller, ex portavoce di Donald Trump, realizzata da Marco Congiu, corrispondente dagli Stati Uniti per Sky Tg24.
“America Contro” racconta appunto un Paese che non era così diviso dai tempi della Guerra di Secessione: «Ci sono più cause che concorrono a creare questo clima. C’è un trend demografico che rende il gruppo storicamente dominante, quello dei bianchi protestanti, una minoranza, e in molti questo genera un sentimento di rivalsa. Poi c’è l’economia, che si è evoluta ed è andata incontro alla globalizzazione, ma ha penalizzato alcuni gruppi sociali e aumentato le disuguaglianze. Sono solo due esempi, poi andrebbero citati l’immigrazione, argomenti come il diritto all’aborto o il controllo delle armi. Tutti temi che generano rabbia, e diventano un’arma in mano ai demagoghi», dice Leoni.
Ecco, i demagoghi: Trump è stato un fattore nella radicalizzazione politica americana. Non l’ha creata lui con le sue mani, ma con la sua presidenza ha fatto da moltiplicatore.
«Le frange estremiste della destra sono sempre esistite, ma hanno sempre avuto diverse sfumature, erano divise in fazioni, e Trump le ha unite, forse senza saperlo perché forse non ha la maturità politica sufficiente per questo», spiega Federico Leoni.
Certo, Trump non è stato l’unico elemento che ha portato a una maggior polarizzazione proprio in quest’epoca. L’innovazione tecnologica ha fornito, involontariamente, nuovi strumenti al populismo.
I gruppi più estremisti in America per anni sono stati distanti, separati in un territorio vastissimo. La tecnologia ha permetto loro di unirsi, di avvicinarsi anche se geograficamente distanti.
Il futuro prossimo non si preannuncia più tranquillo: la polarizzazione non rientrerà come per magia nei prossimi mesi, e non ci riuscirà nemmeno la politica certamente democratica di Joe Biden.
«Le prospettive ci dicono che Biden è in difficoltà nei consensi e nei prossimi mesi Trump metterà in campo la sua forza economica e politica per far perdere ai democratici la maggioranza al Congresso nelle elezioni di midterm. Biden potrebbe arrivare al 2024 in affanno, con Trump come candidato dei Repubblicani e una situazione potenzialmente esplosiva come quella del 2020», spiega Leoni.
D’altronde sarebbe fin troppo ingenuo pensare che questo clima di radicalizzazione possa cessare a breve.
La politologa della Georgia State University Jennifer McCoy ha pubblicato uno studio su ogni democrazia globale dal 1950 a oggi, per identificare i casi di estrema polarizzazione del quadro politico. Dalla sua analisi emerge che nessuna delle democrazie paragonabili agli Stati Uniti ha mai sperimentato livelli di polarizzazione così alti come quelli presenti oggi a Washington.
Un lungo articolo pubblicato su Vox proprio pochi giorni fa spiegava che una riforma e una trasformazione in senso positivo sono ancora possibili, ma storicamente i cambiamenti più significativi del sistema americano sono arrivati solo dopo spargimenti di sangue e lotte – dai campi di Gettysburg e alle strade di Birmingham.
È possibile, forse anche probabile, che l’America non sarà in grado di deviare da questo percorso prima di andare incontro ulteriori sconvolgimenti. Insomma, le cose potrebbero peggiorare ancora prima di migliorare.
«Il sistema politico americano – si legge nella conclusione dell’articolo di Vox – è rotto apparentemente al di là della sua normale capacità di riparazione. In assenza di uno sviluppo radicale, cioè di qualcosa che non possiamo ancora prevedere, questi ultimi anni inquietanti non sono tanto una questione che ci siamo messi alle spalle ma il prologo di qualcosa che deve ancora venire».