La storia di presenta sempre due volte: la prima come mail della preside, la seconda come sms di ATS. E fu così che nel mezzo di una mattina infrasettimanale di smart working arrivò la mail della dirigente scolastica: signore e signori, è questo il segnale, chiudete porte e finestre, sanificate le feste, lucidate i termometri, smettete di silenziarvi la chat, venire a riprendere i vostri figli che sono in quarantena da l’altro ieri. I vostri figli non sono più vostri, sono di ATS.
Il primo pensiero: e anche questa settimana ho svoltato la rubrica. Secondo pensiero: signore, ma perché proprio a me? Il mio povero bambino in lockdown per 10 giorni, ma sicuramente ci sarà un espediente, un’agevolazione, un condono, una robetta all’italiana in virtù della quale siccome è vaccinato potrà con serenità autosorvegliarsi, diventare maggiorenne, votare al Senato, firmare la petizione per il bonus psicologo. E invece pare che la sanità non abbia contemplato che un cinquenne possa essere vaccinato, stessa cosa per i bambini delle elementari.
Signora Sanità, mi ascolti, ascolti una madre, una donna, una moglie, una professionista: il buon senso non ha mai spinto nessuno a fare qualcosa a vantaggio della comunità, ma il condono sì.
Se volete che i genitori vaccinino i bambini dovete fare in modo che abbiano un tornaconto personale, un vantaggio su qualcun altro, una piccola ruberia legalizzata, altrimenti noi che lo abbiamo fatto ci troviamo qua a chiederci: cosa li abbiamo vaccinati a fare?
Sì va bene, ci sono meno possibilità che si ammali, l’importante è la salute, va bene per carità, ma io voglio un vantaggio personale, basterebbe ben oliare la leva che solleva il mondo della competizione tra mamme, vedete poi come schizzano i numeri dei vaccinati. Generale Figliuolo, mi chiami, io so come aiutarla. Generale Figliuolo, mi ascolti, leave the gun, take the cannoli. Invece eccomi qua, di nuovo col lasciapassare A38 in mano, a cercare il cavillo tra i documenti di ATS, i diagrammi, le slide, e invece niente, nessun cavillo, rimane la tumulazione in casa. Per la prima volta in due anni ho un cedimento.
Ho fatto tutto quello che c’era da fare, tutto, ho vaccinato pure le gambe del tavolo, e sono ancora chiusa in casa insieme a mio figlio, che non è più mio figlio, ma un contatto stretto del figlio di qualcun altro. Sono qua che con grande umiltà passo la scopa a vapore sperando di fare diecimila passi in corridoio, e siccome sono una donna e so fare due cose insieme, scrivo alla preside se il tampone di fine quarantena lo devo fare il decimo giorno, o l’undicesimo, e lei mi dice che devo parlare con la pediatra, ma come scusi, ma queste sono indicazioni che riguardano la scuola, è burocrazia, mica è medicina.
Una sola cosa ho capito in questi anni: che nessuno sa mai niente, che nessuno sembra essere pagato abbastanza per prendersi una responsabilità, o per leggere una circolare.
Se non sono condonata, tutti dovranno subire il mio malumore, sono dei Pesci, il mio malumore è un piombo, quindi mentre con grande umiltà pulisco la friggitrice ad aria, scrivo in chat se per caso le maestre hanno intenzione di fare una videochiamata con i bambini, e la risposta è che non sanno se possono farlo; ma in che senso, scusate, hanno finito l’internet? Sono in malattia? L’autosorveglianza è malattia? È smart working? È sciopero da remoto? Uno sguardo commosso all’arredamento e chi s’è visto, s’è visto?
Ministro Bianchi, ascolti una scema, si faccia dare il numero dal Generale Figliuolo e mi chiami.