Lo hanno pregato di sciogliere la riserva. Ma lui, Silvio Berlusconi, non è come la Monaca di Monza, non è lo sventurato che risponde di sì: anzi è lui ad aver preteso, e come sempre ottenuto, fedeltà ai ragazzi che intanto mangiavano e bevevano al desco del villone che fu di Franco Zeffirelli e ora è diventato il set di un vaudeville con gente che va e gente che viene.
Il Cavaliere è in campo ma vuole vederci chiaro, da Caimano si è fatto guardingo, reclama un impegno scritto col sangue: solo che i vari Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Luigi Brugnaro, di sangue più di tanto non ne vogliono spandere. Chi può giurare sulla fedeltà dei garanti elettori del centrodestra? Altro che 101, qui potrebbero essere molti di più.
E siccome il vecchio Silvio tutto questo lo sa, ieri è apparso ai commensali meno battagliero, in modalità ditemi-se-ho-i-numeri-altrimenti-lascio-perdere, in altre parole, fatti due conti il fondatore di Forza Italia potrebbe gettare la spugna: una rinuncia di uno come lui sarebbe davvero come la neve ad agosto ma questa è la situazione. Per questo si ritroveranno tutti i commensali giovedì prossimo per capire se la campagna acquisti procede oppure no.
Finora, no. Non ha i numeri, dicono tutti. D’altronde lui lo sa, o almeno lo indovina, ma finora si è divertito a tormentare i parlamentari perché scrivano il suo nome sulla scheda, sbagliando interlocutori, confondendo il gruppo Misto con i fuoriusciti grillini, con Italia viva, con Coraggio Italia, ha chiamato persino certi del Partito democratico, incurante del diniego oppostogli da Gianni Letta quando Silvio gli chiese già tempo fa di sondare «tuo nipote» per veder «se posso prendere qualcosa anche lì».
La scena deve essere stata triste, con quel buontempone di Vittorio Sgarbi che chiama i parlamentari e gli passa il vecchio Silvio, forse con il plaid sulle gambe, ma con i conti non tornavano mai: quota 673 è lontanissima come la spiaggia per il naufrago – probabile che alle prime tre votazioni nemmeno scenda in campo – ma anche i 505 necessari dalla quarta votazione sembra un tredici al Totocalcio.
Salvini, Meloni e tutta la compagnia della vecchia Casa delle libertà (Ignazio La Russa, Lorenzo Cesa, Maurizio Lupi) hanno fatto melina, infine hanno capito che bisogna fare di necessità virtù: e dunque proviamo, vediamo, noi siamo con te. All’inventore della politica-spettacolo va bene così, altri dieci giorni sotto i riflettori del Paese dopo un Calvario di anni, da Cesano Boscone al long Covid, e poi hai visto mai che accade un miracolo?
Perché la verità è che in un angolo del suo cervello Silvio Berlusconi si vede già insediato al Quirinale, più come un Papa Re che come il successore di Sergio Mattarella, Giorgio Napolitano, per non dire Luigi Einaudi che forse confonde col figlio fondatore della omonima casa editrice che lui si comprò ai bei tempi.
Ma i ragazzi – Salvini, Meloni – cosa pensano di tutto questo? C’è da giurare che guardino già al dopo naufragio di Silvio pronti a calare un’altra carta, a quel punto potrebbe benissimo darsi che un Berlusconi umiliato nell’insalatiera (l’urna di vimini dove finiscono le schede) diventi inoffensivo, al massimo co-kingmaker di una Letizia Moratti (che piacerebbe, udite udite, a Massimo D’Alema) o un Franco Frattini fresco di nomina alla testa del Consiglio di Stato – che coincidenza – o magari su un sempre insidiosamente traversale Giuliano Amato.
E Mario Draghi? Le ultime dicono che il Cavaliere lo abbia sul gozzo, per ragioni non chiare, e che difficilmente potrebbe dargli disco verde. Ma tutto questo è rinviato alle prossime puntate. Quella di ieri racconta di una destra apparentemente ferma sul lancio di un anziano miliardario in cerca di un clamoroso ultimo atto della sua stagione politica, quel vecchio Cavaliere che però forse sta maturando una onorevole exit strategy ove qualcuno gli mostri il foglietto finale che decreti la sua debolezza. Per ora regge ancora l’illusione comica, come la commedia di Corneille, solo che qui, per la destra italiana, c’è poco da ridere.