Smart working, lavoro ibrido e flessibile. Con la pandemia da Covid-19, uno degli aspetti che ha subito maggiori trasformazioni è il rapporto tra vita lavorativa e vita personale. I genitori si sono trovati a dover lavorare da casa e, nello stesso tempo, a dover accudire i figli in età prescolare o a sostenerli se alle prese con la didattica a distanza. E le donne, più di tutti, hanno pagato le conseguenze della crisi, subendo un duro tracollo occupazionale che ancora stenta a essere recuperato.
La domanda che bisogna porsi ora è: come creare, in questo nuovo contesto, un futuro del lavoro davvero inclusivo per tutti?
Per rispondere, Fondazione Adecco per le Pari opportunità, in collaborazione con Phyd, ha organizzato il webinar “Il futuro del lavoro? Parte dalla famiglia”, come tappa del viaggio alla scoperta della Diversity & Inclusion per celebrare i vent’anni di Fondazione Adecco. Luca De Biase, giornalista esperto delle dinamiche dell’innovazione, e Renato Cerioli, presidente di Cariplo Factory e amministratore delegato di Istituti Clinici Zucchi e della Clinica Madonnina, entrambi membri del consiglio d’amministrazione di Fondazione Adecco, hanno discusso questo tema con Francesco Reale, segretario generale della Fondazione.
I numeri emersi dall’indagine “Resetting Normal: Defining the New Era of Work 2021”, condotta da The Adecco Group, dicono che il 53% dei lavoratori desidera poter lavorare da remoto per almeno la metà del tempo. Da cosa partire, quindi, per disegnare questa nuova organizzazione?
«Il lavoro è il confine tra la paura e la speranza per il futuro», ha detto Luca De Biase. «Per i 20-30enni oggi il lavoro e le prospettive sono tutte all’insegna di una parola chiave che è “progetto”. Il progetto del lavoro del futuro è imparare a progettare il lavoro del futuro».
Ma, come ha spiegato Francesco Reale, si deve «fare in modo che il futuro del lavoro sia più vicino alle esigenze della famiglia». Con una precisazione: «Dobbiamo cominciare a parlare di famiglie e non solo di donne e di mamme. Perché la genitorialità riguarda, allo stesso modo, madri e padri».
Il punto centrale è che «la dimensione dell’azienda è ancora fondamentale per garantire la presenza femminile nel mondo del lavoro», ha aggiunto Renato Cerioli, manager nel settore della sanità, dove il 60-70% dei lavoratori è donna. Nell’Italia costellata di micro e piccole imprese, «nel comparto sanitario, la vasta presenza di aziende di medie dimensioni con una componente femminile forte ha generato una attenzione particolare al tema del welfare aziendale». Ma permessi e congedi non bastano. «Non è quella la strada», ha detto Cerioli. «Dobbiamo cercare di dare continuità al lavoro e quindi conciliare, fare sì che la lavoratrice possa mantenere il contatto con l’azienda anche mentre sta realizzando la cosa più bella del mondo, che è quella di portare avanti progetti familiari».
E anche i servizi per le famiglie, secondo Cerioli, vanno ridisegnati. «Non basta guardare ai Paesi che fanno meglio di noi, e costruire solo nidi costosissimi che non sono sostenibili con i livelli di reddito delle famiglie italiane», ha spiegato il manager. «Dobbiamo costruire un sistema che permetta alle famiglie di riuscire a usare questi servizi, altrimenti diventano un disincentivo al lavoro delle donne. E il progetto familiare rischia di diventare incompatibile con il lavoro, per cui le donne devono lasciare il posto con conseguenti difficoltà a reinserirsi nel mercato successivamente. La conciliazione lavoro-famiglia deve trovare altre strade».
È questa quell’emergenza sociale che, secondo Luca De Biase, è urgente tanto quanto l’emergenza climatica. Soprattutto in un Paese dove lavora solo una donna su due, nonostante le donne siano più numerose degli uomini e, soprattutto, più istruite. «Servono servizi diversi, anche nei quartieri», ha spiegato il giornalista, «che diano ai genitori la possibilità di gestire sia il lavoro come progetto sia il progetto di genitorialità, senza pensare che fare entrambe le cose sia un’avventura impossibile».