L’altro giorno un’organizzatrice culturale ha instagrammato lo schermo del suo telefono. Sapete quella cosa che fa la gente che dovrebbe chiamarvi, e vi manda l’istantanea dello schermo per dimostrarvi che è invece al telefono con la suocera/il capufficio/il commercialista da 47 minuti e che vorrebbe ma non può conversare con voi?
Solo che la sua istantanea non era per dirci che non aveva tempo per noi, ma per dirci che era al telefono con Elena Ferrante. Fissavo l’istantanea e mi chiedevo quale fosse l’eventualità più inquietante. Elena Ferrante le aveva dato il proprio numero ma non le aveva detto come si chiamasse davvero, tipo intrattenitrice da sito di appuntamenti, chiamami Lola e ti farò sognare? Elena Ferrante le aveva detto mi chiamo Ugo Persichetti, ma lei l’aveva comunque memorizzato come Elena Ferrante sennò come faceva a dire all’Instagram che aveva frequentazioni invidiabili?
Tutto questo non c’entra, o forse sì, con la parrucchiera da cui andavo a farmi la piega due anni fa. Era una giovane signora di Rozzano che lavorava in un salone all’interno della stazione Garibaldi, a Milano. Credo il negozio nel frattempo abbia chiuso, ma – prima di chiudere riaprire richiudere e altri simpatici sport pandemici – la signora rozzanese un giorno m’aveva spiegato che a lei interessava solo Erin Doom. Credo di aver domandato una versione appena più educata di «e chi minchia è».
La parrucchiera mi spiegò con gli occhi che le brillavano che leggeva il suo libro su Wattpad, la piattaforma sulla quale i lettori diventano scrittori (la mia idea di inferno).
La storia, mi aveva spiegato, era 50 sfumature – cioè, lei non l’aveva detto, è una sintesi che avevo fatto io, forse l’unica persona che scriva sui giornali italiani a essersi sciroppata tutti e tre i volumi della James, e quindi a sapere che non di sesso si trattava (nel primo libro non scopano mai, come possa essere stata scambiata per una storia di sesso è un mistero misterioso) ma di fanciulla innocente redime principe azzurro che sembra cattivo ma ha solo avuto un’infanzia difficile. Se tutti gli autori che hanno provato a copiare 50 sfumature avessero letto il modello cui si rifacevano, saremmo meno pieni di libri in cui lui lega al letto lei e più di cenerentole moderne, che a trent’anni da Pretty Woman ancora non ci rassegniamo sia l’unica pietanza di cui il pubblico non è mai sazio.
La parrucchiera, dicevo.
Mi ha detto che lo pseudonimo era anglofono, ma Erin era italiana, su Instagram spiegava ai suoi fan come sarebbe stato il secondo volume e loro non vedevano l’ora. Sono uscita coi bigodini in testa e ho cercato su Google. Non c’era un giornale che riportasse un rigo su questa Erin, solo un paio di siti specializzati in romanzi romantici dilettanteschi. Ho telefonato a quel paio di persone sveglie che conosco nell’editoria, ho messo su il tono apocalittico «Là fuori c’è un mondo di cui noi non sappiamo nulla, ho incontrato una parrucchiera di Rozzano che mi ha aperto mondi» e mi hanno trattato come mi trattano sempre i miei amici: con la convinzione che, siccome esco poco di casa, quando esco tutto mi sembri una notizia.
Poi è arrivata la pandemia, e sono successe tre cose. Gianni Morandi ha sospeso i suoi spettacoli al Duse di Bologna (ma adesso ha ricominciato, adesso c’è di nuovo una buona ragione per andare in gita a Bologna). La parrucchiera di Rozzano ha smesso di lavorare sotto casa mia. Ed Erin Doom è sparita da Wattpad. Se l’è comprata un editore, Salani, che – come già era accaduto a E.L. James; ma pure, in tempi prepiattaforme, a Federico Moccia – ha preso il libro così com’era e l’ha venduto al pubblico generalista, non a quelli abbastanza invasati da stare su piattaforme o comprarsi fotocopie.
A maggio 2021 Salani ha pubblicato Fabbricante di lacrime, il primo libro, quello che m’aveva raccontato la parrucchiera (la divulgatrice culturale cui a cinquant’anni delego le scelte che a vent’anni delegavo a Baricco). In sette mesi ha venduto trentottomila copie senza che nessun giornale se ne accorgesse (i giornali italiani e la loro specializzazione nell’arrivare tardi e male sui grandi successi, da Stefania Auci in giù, è un discorso che facciamo un’altra volta).
A gennaio 2022, all’improvviso, è impossibile non accorgersene. Perché è uscito il secondo libro, Nel modo in cui cade la neve, e nella settimana d’uscita (anzi: nei quattro giorni rilevati da quand’è uscito) ha venduto abbastanza da essere, negli inserti culturali che sfoglierete oggi, sesto tra i libri più letti d’Italia. Ma ha venduto la stessa cifra del primo (quarantuno copie di differenza tra i due). Quindi: ci sono tante persone che hanno ritenuto di mettersi in pari col fenomeno del momento quante ce ne sono che si sono precipitate a comprare il libro nuovo. Quindi: tra i primi sette libri più venduti in Italia ce ne sono due di «e chi minchia è».
Nelle interviste rilasciate, Erin La Misteriosa dice di sé che è «una semplice ragazza che ha sempre scritto soltanto per passione e diletto», che sembra Julia Roberts in Notting Hill, ma soprattutto sembra il perfetto specchio di lettori che lasciano su Amazon commenti tipici della generazione per cui la storia del mondo è cominciata quando io mi sono aperto un account social: «Con che coraggio ora leggerò un altro libro? Questo per me IL LIBRO, quello per cui ne è valsa la pena aspettare, perché davvero una storia così non ha tempo, ne spazio». Accenti, particelle, mancati ausiliari: ad “Adriana” che assegna cinque stelle già a fine 2020 (forse è la mia ex parrucchiera) non ho corretto niente, perché è giusto che il popolo parli nella propria lingua.
Su Twitter lettori altrettanto appena nati (nati il giorno in cui Erin li ha tirati fuori dal liquido amniotico) scrivono cose come «Ho finito Il fabbricante di lacrime. Mi sento vuota. Questo è stato uno dei più belli che io abbia mai letto, mi sono sentita capita». Ignoro quanti anni abbia “Ale”, che in genere twitta di Amici (la gara di cantanti e ballerini condotta da Maria De Filippi), ma non permetterò a me stessa di dire che forse è il più bello perché non ha letto non dico Proust ma almeno Jane Austen. «Carmelinda 2.0», che in genere twitta di Mengoni, le risponde «È stato un colpo al cuore, l’ho amato e odiato. Erin Doom è un genio», e io vorrei tanto che interi dipartimenti universitari studiassero la capacità di parlare a lettori analfabeti (sì, Gramsci: mai in confronto a questi era Wittgenstein).
Ma soprattutto vorrei complimentarmi con Erin Doom, che dà poche interviste in cui non dice quasi niente, solo che è emiliana e ha meno di trent’anni: che non venga voglia a nessuno di immortalare una telefonata con lei e vantarsi di frequentarla.