Il clima al confine tra Russia e Ucraina è sempre più teso. I segnali in arrivo da Mosca non annunciano un miglioramento in tempi brevi e i leader occidentali si stanno preparando a ogni evenienza. I prossimi sviluppi di questa situazione non riguarderanno solo il tema della sicurezza, ma saranno anche economici e finanziari, certamente politici e anche energetici. Su quest’ultimo aspetto la preoccupazione maggiore da parte dell’Europa riguarda la possibilità che Vladimir Putin decida di interrompere le forniture di gas da un momento all’altro.
Una soluzione sicuramente verosimile, a questo punto, anche perché il flusso di gas che attraversa l’Ucraina è già stato ridotto da circa 100 a 50 metri cubi al giorno. La Russia potrebbe quindi alzare la posta decidendo per un’interruzione totale, e potrebbe sopportarne le ricadute economiche immediate: senza contare le sanzioni per violazione degli accordi di contratto, e supponendo il prezzo medio giornaliero visto nel quarto trimestre del 2021, un’analisi dell’Economist stima che un taglio completo del gas convogliato in Europa costerebbe a Gazprom tra i 203 e i 228 milioni di dollari al giorno in termini di entrate perse.
Quindi, se un embargo durasse ipoteticamente tre mesi, le perdite ammonterebbero a circa 20 miliardi di dollari. Una quota sostenibile per la Russia, che oggi ha circa 600 miliardi di dollari nelle riserve della banca centrale. Anzi in realtà potrebbe anche esserci un lieve ritorno economico legato all’aumento dei prezzi di gas e petrolio (va ricordato che quest’ultimo rappresenta la maggior parte delle entrate energetiche della Russia).
Tuttavia, la minaccia energetica potrebbe rivelarsi un’arma meno efficace del previsto. «La buona notizia per l’Europa è che il sistema energetico europeo è più resiliente di quanto non fosse durante la crisi del 2009», scrive l’Economist.
Il magazine britannico spiega che le misure a favore della concorrenza hanno indebolito la presa di Gazprom sugli Stati europei, e adesso c’è una fitta rete di interconnettori del gas che collega Paesi precedentemente più isolati.
Per capire le capacità di adattamento energetico dell’Europa bisogna guardare anche al Gas naturale liquefatto, o Gnl. «I diplomatici europei e americani – scrive l’Economist – si stanno muovendo per garantire una maggiore produzione di gas naturale liquefatto proveniente da grandi compagnie energetiche in America e Qatar. In questo caso la soluzione migliore per l’Europa sarebbe quella di entrare in possesso dei carichi di Gnl esistenti originariamente destinati altrove».
I Paesi del Vecchio continente si sono già attivati per garantirsi le forniture necessarie. Durante la recente crisi energetica – quando i prezzi europei sono triplicati tra ottobre e dicembre dello scorso anno – nuovi carichi di Gnl sono partiti dall’Asia con destinazione Europa: questo nuovo afflusso, in questo breve periodo, ha compensato il calo delle importazioni di gas dalla Russia.
C’è anche un mutuo interesse con le società energetiche statali cinesi, che puntano a fare profitti rapidi grazie agli alti prezzi del gas di questo periodo e stanno cercando di mettere nero su bianco nuovi accordi per spedizioni di Gnl.
Anche l’Australia sta valutando la possibilità di fornire gas naturale liquefatto all’Europa. Un alto funzionario dell’amministrazione americana di Biden ha rivelato che «anche gli Stati Uniti stavano osservando il flusso globale di Gnl, che provenga dagli Stati Uniti o dall’Australia o da altri luoghi» per fare in modo che l’Europa sia sempre meno vulnerabile alle minacce di Putin.
Anzi, l’Australia potrebbe essere una figura chiave in questo Risiko energetico: il ministro delle Risorse australiano, Keith Pitt, ha definito l’Australia «un esportatore globale, leader nel settore, affidabile nella fornitura di Gnl, disposto ad accogliere qualsiasi richiesta di ulteriori forniture». Una dichiarazione che sembra molto una pubblicità alla sua nazione, ma comunque una presa di posizione molto netta.
Sulla stessa linea c’è anche il Qatar, un altro potenziale interlocutore per diversificare l’approvvigionamento energetico. «I colloqui con il Qatar e gli Stati membri dell’Unione europea, incentrati su carichi di gas naturale liquefatto da spedire via mare, hanno assunto toni più urgenti da quando i negoziati sulla sicurezza tra Washington e Mosca della scorsa settimana hanno prodotto progressi minimi», si legge in un articolo del Financial Times.
Discussioni che ovviamente hanno sempre diversi piani di ragionamento, per venire incontro alle esigenze di tutti gli interlocutori. «Abbiamo discusso di cosa può essere spostato sul mercato, cosa può aiutare i Paesi europei e cosa possiamo preparare nell’immediato nel caso in cui dovesse esserci un’escalation della crisi», avevano fatto sapere da Washington. Dall’altro lato si lavora anche per esplorare potenziali accordi di lungo periodo per l’acquisto di Gnl dal Qatar, dal momento che il Paese del Golfo aumenterà notevolmente la sua produzione nei prossimi anni.
Un altro elemento dell’equazione che gioca a favore dei Paesi europei è la quantità di gas al momento presente in stock. «Il rigido inverno dello scorso anno ha fatto in modo che le scorte di gas siano a livelli inferiori alla norma», scrive l’Economist.
Secondo i calcoli fatti dalla società energetica Rystad – riportati dal magazine britannico – ipotizzando un clima nella norma per i prossimi mesi, ci sarebbe abbastanza gas in stock da compensare almeno due mesi di interruzione della fornitura di gas russo. Alcuni analisti ritengono che l’eccesso potrebbe coprire fino a quattro mesi di interruzione, ma un’ondata di freddo imprevista inciderebbe rapidamente sulle scorte.
In sintesi, l’Europa soffrirà se la Russia interromperà il gas. Certamente. Ma il prezzo da pagare sarà soprattutto economico, per i nuovi accordi commerciali da sottoscrivere, per le nuove risorse che dovranno essere acquistate. Non ci sono pericoli diversi da questo.
Certo, non sarebbe una passeggiata: JP Morgan Chase prevede che al momento, anche senza calcolare un taglio del gas russo, l’Europa spenderà circa 1 trilione di dollari quest’anno in energia, rispetto ai 500 miliardi di dollari del 2019. E se i Paesi europei saranno costretti ad attingere alle loro riserve di gas per qualche mese poi dovrebbero spendere ancora di più durante l’estate per ricostruire freneticamente le indispensabili riserve (che servirebbero per evitare una crisi energetica nel prossimo inverno).
È una prospettiva spiacevole, conclude l’Economist, «ma un prezzo maggiore sarebbe pagato dalla Russia a lungo termine: Gazprom rischia di dover affrontare massicce ricadute commerciali, che vanno dalle sanzioni pagabili ai clienti all’arresto dei dollari che fluiscono in Russia per i pagamenti dei contratti, e avrebbe difficoltà ad assicurarsi contratti a lungo termine in Europa dopo una tale dimostrazione di aggressiva inaffidabilità. Allo stesso modo l’oleodotto Nord Stream 2 così amato da Putin avrebbe sicuramente dei problemi: se fosse chiuso anche la Cina, che ora importa con cautela più gas russo, potrebbe convincersi dell’inaffidabilità russa sul mercato energetico».