Per quasi due anni le banche centrali di tutto il mondo hanno immesso nel sistema finanziario globale una quantità di denaro senza precedenti. La risposta alla pandemia da parte della Federal Reserve, della Banca centrale europea e di altre grandi istituzioni ha prodotto una grande inflazione che adesso si sta provando a ridurre intervenendo sui mercati.
A un certo punto, verso la fine dello scorso anno, sembrava che lo stimolo delle banche centrali sarebbe durato praticamente per sempre. Era ovviamente una percezione, o forse una speranza, per qualcuno, ma non era un auspicio realistico.
Oggi, infatti, sembra di essere passati dall’altra parte del tavolo: i mercati sono in contrazione e le previsioni dicono che i tassi di interesse aumenteranno di quattro volte nel 2022 dopo mesi e mesi di tagli. «È la fine dell’era del denaro gratuito», scrive l’Economist. Un turning point decisivo, simboleggiato dalla conferma della Fed, arrivata in settimana, che il programma di acquisto di obbligazioni sarebbe giunto al termine – gradualmente, di circa 15 miliardi di dollari al mese, da qui a metà anno – e che i tassi di interesse sarebbero stati alzati di nuovo.
Ovviamente la Federal Reserve non si muove da sola. Anche la banca centrale australiana ha adottato misure per inasprire la politica monetaria questa settimana, mentre la Bank of Canada ha dichiarato la scorsa settimana che smetterà di espandere il proprio bilancio. Allo stesso modo, la Banca centrale europea sta rallentando il ritmo degli acquisti in questo trimestre.
Questo cambiamento è un segnale, forse il segnale più forte proveniente dalle banche centrali di tutto il mondo negli ultimi mesi. È una stretta monetaria – per certi versi prevista o prevedibile, almeno per alcuni investitori – che adesso sta creando nei mercati una grande volatilità.
Per l’Economist il cambio di rotta degli ultimi giorni si vede, ad esempio, nel «repricing di asset a lungo termine: con il crollo dei tassi di interesse durante la pandemia, il valore dei titoli con rendimento a lungo termine è aumentato vertiginosamente. Le azioni di aziende tecnologiche come Zoom e Netflix, già spinte in alto da lockdown e smartworking, sembravano ancora più appetibili dal momento che il rendimento delle obbligazioni era quasi svanito. La loro ascesa ha spinto il mercato azionario. Ultimamente, però, i tassi di interesse a lungo termine sono aumentati in previsione di una stretta monetaria, provocando un’inversione di tendenza che è stata drammatica per i titoli più speculativi e per alcuni nuovi strumenti come le criptovalute».
Una lunga analisi del Time suggerisce proprio che il mercato finanziario sia entrato in una nuova fase, in una nuova epoca storica: «La recente volatilità dei mercati finanziari globali può sembrare l’ultimo shock indotto dalla pandemia, ma ci sono segnali che gli investitori si stanno abituando all’idea che una qualche forma del virus faccia parte della nostra nuova norma: all’inizio del 2020, gli investitori seguivano ogni evoluzione del virus e della pandemia, hanno valutato le informazioni sui contagi e le restrizioni e sui progressi dei vaccini per stimare in che modo le singole aziende fossero strategicamente posizionate per trarne profitto. Ma adesso è cambiato tutto: il mercato sta gradualmente diventando meno reattivo e più razionale. Il focus non è più su chi trarrà vantaggi a breve termine dalla pandemia, perché adesso il virus è diventato un fenomeno più gestibile e al quale siamo abituati».
Sull’economia reale l’effetto di tassi di interesse più elevati sarà percepito più lentamente, e forse sarà anche più difficile da prevedere. Con il grande afflusso di denaro del 2021 – che l’Economist definisce «denaro ultra-economico» – le aziende hanno avuto la possibilità di raccogliere grandi quantità di fondi per un lungo periodo, ed è un boom che non si ripeterà almeno per un po’. Allo stesso modo, chi ha sta comprando casa lo fa con mutui pesanti, dal momento che i prezzi delle case sono aumentati di nuovo, e non di poco.
Insomma, l’elevato indebitamento creatosi come risposta alla pandemia rende l’economia mondiale più sensibile ai cambiamenti nella politica monetaria. Adesso le banche centrali devono aumentare i tassi d’interesse fino al punto da abbassare l’inflazione, ma devono comunque muoversi con cautela per non far precipitare le economie in recessione a causa dei nuovi oneri sugli interessi.
Un altro fattore chiave da guardare per una vera ripresa dell’economia reale riguarda il momento in cui i consumatori torneranno a spendere per i servizi, non solo per i beni come hanno fatto negli ultimi 20 mesi (questa asimmetria nelle preferenze, sbilanciata dal lato dei beni, è una delle cause della carenza di approvvigionamenti degli ultimi mesi).
«Quando le persone torneranno a spendere per i servizi, sarà allentata la pressione sui prezzi dei beni causata da catene di approvvigionamento intasate», scrive l’Economist, che però chiarisce: «I dati economici sono diventati più difficili da interpretare: se le vendite al dettaglio diminuiscono, ad esempio, è un riflesso dell’indebolimento economico o è un gradito ritorno ai normali modelli di consumo?».
In definitiva, l’incertezza riguardo la reale stabilità dell’economia globale e la sua capacità di resistere a tassi d’interesse più elevati, unita alla preoccupazione delle banche centrali per l’inflazione, porta i mercati finanziari in una nuova fase. «Per quasi due anni – conclude l’Economist – il denaro a buon mercato ha portato i prezzi degli asset finanziari a livelli sorprendenti anche se l’economia mondiale era in crisi. Oggi invece le due cose sono strettamente legate».