La domanda sbagliata è: ma chi gliel’ha fatto fare? È sempre la domanda sbagliata, che il tema sia Filippo Bernardini – il tizio che per anni si è fatto mandare pdf di libri in lavorazione senza rivenderseli – o Martina Maccherone, l’ex collaboratrice di Chiara Ferragni la casa della quale è stata svaligiata (poi sulla parola ci torniamo) a Capodanno.
Tanto per cominciare devo scusarmi con la mia amica direttrice editoriale alla quale l’anno scorso chiesi il pdf d’un libro e che non me lo mandò dicendo che, da quando avevano scoperto quello che falsificava gli indirizzi email per farsi mandare i pdf, in casa editrice erano diventati molto paranoici. Cara amica, oggi ti confesso di non averti creduto. Ti confesso d’aver pensato che tu volessi costringermi a comprarmelo, incrementando le vendite d’un’autrice peraltro già stravenduta. Ti confesso d’essermi detta: eh ma che avida. E invece dicevi il vero.
Il falsificatore d’indirizzi, che creava mail molto simili a quelle che usano davvero importanti agenti o editori, è italiano, lavorava a Londra, ed è stato arrestato due giorni fa a New York, e già liberato su cauzione (come nei film americani, puntesclamativo). E tutti gli articoli che ne parlano dicono che è inspiegabile: nessuno dei manoscritti che ha trafugato è mai comparso sul mercato nero: cosa se ne faceva? Niente, come siete novecenteschi: il movente non funziona più in quel modo diretto, l’economia in cui viviamo ora è più complessa.
Sono passati più di due anni da quando Kim Kardashian è stata derubata in un albergo di Parigi, con modalità piuttosto traumatiche: i ladri sono entrati mentre era a letto, l’hanno legata e imbavagliata, si sono fatti consegnare i gioielli, e immagino la signora non abbia potuto fino alla fine esser certa che non l’avrebbero ammazzata. Kardashian ha detto le stesse cose che ha detto ieri Maccherone: che era stata troppo generosa nel mostrare la propria vita su Instagram, che ci avrebbe fatto più attenzione (i ladri erano probabilmente stati attratti da un brillocco particolarmente costoso, regalo dell’allora marito Kanye West, che Kardashian aveva fatto vedere ai suoi seguaci).
Ma chi vive su Instagram può vivere altrimenti? Ieri Martina Maccherone (in questo secolo non si può girare I soliti ignoti perché la realtà supera la finzione cinematografica persino nei nomi dei personaggi) ha detto che lei è nativa digitale, per lei è naturale instagrammare le sue giornate. Se i miei calcoli sono giusti, la Maccherone aveva diciott’anni quand’è arrivato Instagram. Ne ha trenta, quindi ha vissuto più coi cellulari che non si collegavano a internet che con quelli che fanno le foto, ma magari i giovani d’oggi si naturalizzano da maggiorenni. Cerco di pensare a un’abitudine invalsa quand’ero al liceo che a trent’anni mi sembrasse naturale, ma mi viene in mente solo l’obbligo del casco in motorino, del quale a trent’anni ancora non m’ero fatta una ragione.
Tuttavia è chiaro che neanche per lei il rapporto tra sacrificio e introiti è diretto come eravamo abituati fosse nell’economia del Novecento. Chi glielo fa fare di fotografare il veglione del quale è ospite mentre le ladre riempiono le sue valigie dei suoi cosmetici e se li portano via assieme ai suoi vestiti (che ladre crudeli sanno essere le donne)? Chi glielo fa fare di comparire incinta nel reality di Chiara Ferragni mentre i due compagni delle gravide provano i dolori del parto a mezzo elettrodi? Chi glielo fa fare di vivere in un perpetuo set del Grande Fratello? Nessuno, e tutti. Martina Maccherone ha centoventisettemila follower: se non concedesse loro ogni giorno un pezzettino di sé, avrebbe un lavoro? (Il suo lavoro attuale è un lavoro che per fortuna le mie nonne sono morte perché mica avrei saputo spiegarglielo: cura l’influencer marketing per una ditta di arredi, cioè si occupa del fatto che altri come lei usufruiscano dell’economia dello scrocco in cui tu mi arredi casa e io parlo di te a chi segue il mio Instagram).
Chi glielo fa fare, a Filippo Bernardini, di sbattersi tanto per dei manoscritti che poi non rivende, non sfrutta, coi quali non fa niente tranne forse – che immagine spaventosa e antiquata – leggerli? Confesso che lo capisco. Capisco la gratuita curiosità. Capisco il volere talmente tanto poter leggere una cosa in anticipo che ti sbatti come una mente criminale e poi neppure ne trai dei profitti. Quello che ci vorrebbe qualcuno più bravo di me a spiegare è in che secolo viva Filippo Bernardini. Che sottrae con l’inganno mille libri ancora da pubblicare e poi resiste, con una continenza che credevamo ormai perduta, alla tentazione d’una piccola storia di Instagram, d’un piccolo tweet, d’un piccolo post su Facebook che dicano che siete invidiosi, eh?, l’inedito di Margaret Atwood che tutti aspettano io ce l’ho, è qui sul mio desktop, io posso leggerlo e voi no, pappappero. Se le Kardashian e le Maccherone avessero la tenuta psicologica di Bernardini, potrebbero dirigere la Cia (lui no: non ha abbastanza senso degli affari).