L’onda dei podacast ha travolto il mercato dei media dalla seconda metà degli anni Dieci. Politica, sport, economia, esteri, anche cultura, storie di cronaca, letteratura. Tutto ciò che può essere raccontato può avere l’ambizione di diventare un podcast e trovare il suo pubblico affezionato.
Piattaforme come Spotify o Apple Music hanno trovato nei programmi in formato audio una risorsa straordinaria, forse inaspettata rispetto alle prospettive di venti o anche solo quindici anni fa.
«Negli Stati Uniti il mercato dei podcast in generale ha raggiunto uno status, una tradizione e un’immagine ben consolidati», aveva detto qualche mese fa a Linkiesta Fabio Ragazzo, Original Content Sr. Manager di Audible. «È anche un discorso di investimenti, nella produzione, nella scrittura e nel lavoro che c’è dietro ogni puntata. In Europa ancora no, è un settore in crescita ma siamo ancora in una fase embrionale».
Il mercato americano è decisamente più strutturato di quello europeo, ma nell’ultimo periodo sembra essere entrato in una fase di transizione, c’è un primo rallentamento in questa età dell’oro. Lo spiega un articolo di Bloomberg pubblicato nella newsletter Screentime, firmata da Lucas Shaw: «È difficile per i nuovi programmi trovare un pubblico. Ogni nuovo spettacolo ha un pubblico più piccolo rispetto ai suoi predecessori».
Non perché non ci siano ascoltatori, ma perché è difficile mantenere la qualità così alta e avere successo ogni volta con una nuova idea. Un’analisi di Edison Research, infatti, rivela che nessuno dei 10 podcast più popolari negli Stati Uniti nel 2021 ha debuttato dal 2020 a oggi.
Anzi, quelli della top-10 hanno in media più di 7 anni, e tre dei primi cinque hanno più di un decennio di vita: sono “The Joe Rogan Experience”, “This American Life” e “Stuff You Should Know”. Solo pochi podcast nella top-50 – “SmartLess”, “The Michelle Obama Podcast”, “Frenemies” – sono nati negli ultimi due anni.
«Dawn Ostroff, chief content officer di Spotify, è sconvolto dal fatto che la sua azienda non stia producendo abbastanza nuovi podcast popolari e ha esercitato pressioni sui suoi studi», scrive Lucas Shaw in Screentime. Ma l’esempio non vale solo con Spotify, è un sentimento che si ritrova tra molti produttori del settore.
Paradossalmente il pubblico dei podcast, in generale, è ancora in aumento, sintomo che il mercato è ancora florido. Ma le singole trasmissioni fanno fatica a imporsi sulla concorrenza con numeri davvero convincenti – o comunque sufficienti a scalzare dalle prime posizioni i protagonisti dell’ultimo decennio.
Questa tendenza irrita i dirigenti e i produttori dell’industria del podcasting, che temono di sprecare un sacco di soldi per nuovi programmi. Spotify, Amazon, SiriusXM, iHeartMedia e investitori esterni hanno investito miliardi di dollari in società di produzione. Spotify ha speso più di chiunque altro, ha pagato circa 500 milioni di dollari per tre case di produzione.
«Praticamente tutti i produttori sono d’accordo sul motivo», si legge su Bloomberg. «Ci sono più podcast che mai, solo Spotify ospita oltre 3 milioni di podcast e pochi anni fa era nell’ordine delle centinaia di migliaia. Ma sebbene la stragrande maggioranza di questi nuovi programmi sia defunta o abbia un pubblico minuscolo, il fatto che ce ne siano così tanti crea un problema».
Il numero di nuovi podcast è cresciuto più rapidamente del pubblico dei podcast e il numero di ascoltatori per spettacolo sta diminuendo. Fin qui è un discorso matematico, anche piuttosto lineare. È vero che ogni ascoltatore può avere due o più programmi nella sua routine, ma l’elenco degli spettacoli in competizione per essere proprio quello che ascolti durante la passeggiata del fine settimana è sempre più lungo. Di conseguenza, scoprire nuovi spettacoli è più difficile che mai. Ci si affida a consigli, algoritmi, passaparola.
Anche in Italia il pubblico dei podcast è in crescita. I dati Ipsos, raccolti a luglio, stimavano che nel mese precedente «circa 9,3 milioni di persone» avessero ascoltato almeno un podcast. Anche nel caso di Ipsos, il dato mostrava «una crescita lieve ma che consolidava la tendenza positiva registrata lo scorso anno».
Resta il fatto che i podcast lanciati dieci o cinque anni fa hanno un grande vantaggio rispetto a quelli nuovi di zecca: hanno avuto più tempo per crearsi un pubblico, crescere con il passaparola e apparire nei risultati di ricerca.
Non è che i nuovi podcast non possano avere successo, ci mancherebbe. Ma lo standard per ottenere buoni numeri – in termini relativi sul bacino di ascoltatori – è sempre più alto, il che significa che ci vorranno più tempo e più lavoro per arrivare a certi risultati.
Da Bloomberg arriva quindi una possibile spiegazione del perché i nuovi podcast non riescano a imporsi subito sul mercato, e anche un suggerimento per ritagliarsi la giusta audience: «Gli ascoltatori di podcast sono fedeli, sviluppano legami a singole stazioni, spettacoli e host: ascoltare “The Daily” o Bill Simmons o Alex Cooper per molte persone significa stare in una situazione di comfort. Molti preferiscono ascoltare la loro opinione su un argomento, anche se non è buona, piuttosto che l’interpretazione esperta di un nuovo arrivato. Di fronte a un assalto di nuovi podcast, le persone si stanno rintanando in ciò che trovano familiare. Le aziende devono utilizzare questi successi per promuovere nuovi spettacoli».