Può essere una giornata nevrotica e noiosa al tempo stesso? Sì, quella di ieri a Montecitorio, gran teatro della politica ove per tutto il giorno centinaia di persone hanno giocato e sette-otto hanno provato a trovare un accordo politico, lo è stata.
La prima giornata, come si sapeva, è finita col buco nell’acqua del trionfo della scheda bianca (672) con un po’ di voti a questo e a quello (notevoli i 4 a Bruno Vespa), e insomma è stato un lungo pomeriggio che avrà estenuato Roberto Fico e Elisabetta Casellati e massacrato i nervi del solito teatrino mediatico (solidarietà a fotografi, cameramen e cronisti) mentre la partita vera si svolgeva lontano da testimoni in un vorticoso susseguirsi di vertici tra i leader che per ora non hanno portato a niente. Però alcuni dati politici si sono colti.
Il più interessante dei quali è l’attivismo di Mario Draghi, che con i vari colloqui di ieri – a partire da quello della mattinata con Matteo Salvini – è diventato manifestamente un attore della pièce quirinalizia nel senso che si muove come un capopartito che tratta con gli altri segretari: ed è una trasformazione, chissà quanto inevitabile, che modifica sostanzialmente la sua figura di tecnico super partes per diventare un leader politico di parte (la sua) che ovviamente ha delle caratteristiche molto lontane da quelle tradizionali, più “larghe”, diversamente attente alle ragioni della Nazione, di sicuro scevre da logiche di potere e tornaconto.
Ma – su questo bisognerà interrogarsi – oggi il presidente del Consiglio è per così dire “sceso” sul pianerottolo della politica spicciola basata sulla forza, o debolezza, rispetto agli altri attori della politica. Dopodiché resta un mistero cosa abbia detto a Salvini, che per molte ore è parso il tramite tra il premier e il mondo politico, e tuttavia non ci si allontana molto dalla verità se si ipotizza che il premier abbia “incaricato” il capo leghista di appurare se i partiti lo vogliono al Quirinale oppure no.
Il punto resta questo. Ed è preliminare a tutto. Perché certamente Draghi non può stare a bagnomaria per molto. Si preoccupa di quello che potrebbe succedere se andasse al Colle ma sa che non può sporcare la Costituzione ergendosi a costruttore di un eventuale nuovo governo ancor prima di essere stato eletto. E allo stesso modo col quale si lamenta l’assenza di un regista per il Quirinale bisogna anche dolersi per l’assenza di un kingmaker per il nuovo governo, una questione che è diventata il vero rompicapo che sta facendo impazzire i partiti.
Paradossalmente infatti sembrerebbe che il blocco della situazione non sia tanto sul nome del Capo dello Stato (non c’è paragone, a bocce ferme, tra Draghi e Pierferdinando Casini, l’altro nome in campo) ma proprio sul prossimo esecutivo, tanto più che ieri si sono paurosamente allungate le ombre addirittura di un conflitto armato in Ucraina e si è registrato un mezzo crollo delle Borse.
Non sembra proprio il momento di giochicchiare.
Mentre Enrico Letta continua a stare sul metodo, perché ha il terrore di bruciare nomi suoi e anche di fare passi falsi in un partito che è tornato a innervosirsi, la destra sta subendo una profonda modifica dei suoi assetti di direzione politica, essendo evidente dalla giornata di ieri che in queste ore il leader del centrodestra è Matteo Salvini, il quale effettivamente è l’uomo che ha in mano il boccino della crisi. Il che non esclude che Silvio Berlusconi, ammaccatissimo dopo la sua ritirata poco strategica, non torni alla ribalta, come si sussurrava in serata, con un proposta radicale: chiedere a Sergio Mattarella di accettare un secondo mandato (facendo felice il Pd). Un’extrema ratio che rimane in campo, stante il blocco di queste ore.
Insomma, come si vede, la situazione è abbastanza nera. Anche se simboleggiata dalle schede bianche. Si spera di fare presto, di fare oggi passi avanti per chiudere giovedì. Ma nessuno può giurarci.