L’unica soluzione per il Colle si chiama Mario Draghi. Ma c’è sempre un piano d’emergenza: chiedere a Sergio Mattarella di restare.
Per il professore Roberto D’Alimonte, politologo dell’Università Luiss e grande esperto di sistemi elettorali, il presidente del Consiglio «resta il candidato più forte per il Quirinale». Convergere sul suo nome, spiega alla Stampa, è la strada maestra per uscire dallo stallo in cui i leader dei partiti si sono infilati.
La situazione – dice – «si sbloccherà quando i partiti si renderanno finalmente conto che, per tanti motivi, la persona giusta per il Quirinale è Draghi. A quel punto, forse, si siederanno intorno a un tavolo e decideranno contestualmente anche il suo successore a Palazzo Chigi. Che, a mio avviso, dovrebbe essere una donna».
D’Alimonte pensa a una donna perché, dice, «credo che una donna potrebbe riuscire ad attenuare le tensioni tra i partiti della maggioranza, che comunque ci saranno in un anno elettorale. Anche per il rapporto diverso che potrebbe instaurarsi tra i leader di partito uomini e un premier donna. Io penso a Marta Cartabia, ma non so se ne abbia voglia. L’alternativa potrebbe essere Elisabetta Belloni. Credo che l’opinione pubblica apprezzerebbe la scelta di una donna per Palazzo Chigi».
Secondo il politologo, altre figure super partes e autorevoli come Draghi da mandare al Quirinale non ce ne sono. «Io onestamente non ne vedo», dice. «Certo, se entrassimo in una spirale perversa di votazioni inconcludenti, non escluderei un ripensamento del presidente Mattarella e una sua permanenza al Quirinale. Del resto, i tanti voti che ha preso nei primi tre scrutini dimostrano che questa soluzione piacerebbe a molti. Ecco, l’unica alternativa possibile a Draghi è il mantenimento dello status quo».
Tra i leader di partito impegnati nelle trattative, intanto, «nessuno si stia muovendo bene, ma Conte mi sembra quello più in difficoltà. Il Movimento Cinque Stelle è il partito con il maggior pacchetto di voti ma, diviso com’è, non riesce a farlo valere. E la leadership di Conte ne soffre. Ma neanche Salvini sta tanto bene. Pare che anche il suo partito sia diviso. E la sua voglia di intestarsi l’elezione del nuovo presidente potrebbe rivelarsi un boomerang».
In questo momento, «si stanno giocando tre partite», spiega il professore. «Quella più visibile è l’elezione del presidente. Allo stesso tempo, questa è anche il banco di prova della coesione dei partiti e delle future alleanze in vista delle amministrative di primavera e delle politiche del 2023. Questo è vero a sinistra, dove un’azione coordinata sul nuovo presidente tra Pd e Cinque Stelle può essere la base su cui costruire l’accordo. Ma anche a destra, dove troviamo due partiti al governo, tra cui Forza Italia, che non è chiaro cosa voglia fare dopo il fallito tentativo di Berlusconi di salire al Quirinale, e un partito all’opposizione».
La decisione sulle alleanze dipenderà però molto dalla legge elettorale. «E in questo momento ci sono partiti, come il M5S, schierati a favore del ritorno al proporzionale e Fratelli d’Italia che, invece, vuole mantenere assolutamente l’attuale sistema o approvarne uno ancora più maggioritario. In mezzo ci sono gli altri, che pendono di qua o di là. Dopo l’elezione del nuovo presidente, la riforma elettorale tornerà adessere un argomento caldo. E questa elezione potrà orientare i partiti incerti in una direzione o in un’altra. Con Berlusconi che continuerà ad avere un peso superiore al suo pacchetto di voti. La sua candidatura era stata accettata da Salvini e Meloni in cambio della rinuncia ad appoggiare il ritorno al proporzionale. Sarà ancora così dopo l’elezione del nuovo Capo dello Stato?».