Fra le varie teorie riportate dai giornali, ieri si è letto che alla fine Mario Draghi potrebbe essere eletto “per disperazione”: «A giudizio di molti, forse dello stesso Draghi – ha scritto Stefano Cappellini su Repubblica – il tempo lavora per lui, gli basta aspettare che si brucino uno dopo l’altra le ipotesi vagheggiate dai partiti e aspettare che tutti o quasi si rivolgano a lui per disperazione se non per convinzione».
Ecco, questa sarebbe la soluzione peggiore di tutte. La più debole, anche per la stessa immagine di Draghi, un fuoriclasse costretto a aspettare in anticamera i fallimenti altrui, un Capo dello Stato eletto di risulta, una foglia di fico per coprire le magagne del sistema politico, un Presidente-Bostik per rincollare i cocci delle relazioni tra i partiti. Insomma, eletto in questo modo, alla quarta o quinta o sesta votazione, sarebbe una mortificazione anche per l’uomo che il mondo ci invidia.
Draghi non sarebbe dunque il nuovo Ciampi, acclamato nel ‘99 alla prima votazione dopo un’operazione politica costruita per tempo, anche se rapidamente, grazie all’intesa Veltroni-Fini-Casini ma assomiglierebbe di più a Oscar Luigi Scalfaro, eletto presidente nel ’92 dopo i fallimenti democristiani e il lungo stallo di 10 giorni interrotto dal tritolo di Capaci: solo dopo la strage uscì il nome di Scalfaro, da un mese presidente della Camera. Per fortuna oggi la situazione è molto diversa, c’è una bella differenza tra l’omicidio di Giovanni Falcone e la pur tremenda pandemia. Ma l’analogia è fondata: se la situazione rimane incartata, Draghi potrebbe essere eletto “per disperazione” proprio come allora venne eletto Scalfaro.
La verità è che chi fa il tifo per SuperMario al Quirinale avrebbe dunque dovuto preparare questa esito per tempo, verificandone con cautela ma decisione i presupposti, a partire dalla questione del nuovo governo: e invece ci si ritrova a quattro giorni dalla prima votazione senza nemmeno uno straccio di accordo.
La cautela al cloroformio di Enrico Letta che non ha mai voluto affrontare la questione quando sarebbe stato necessario (il suo mantra: «Se ne parla alla fine di gennaio») forse tanto lungimirante non è stata. Tra oggi e domenica pomeriggio, quando riunirà i Grandi elettori del Pd, il segretario dovrà aver costruito una soluzione forte: 72 ore per fare un governo, auguri.
Non si sa ovviamente se il segretario del Pd riuscirà a vedere l’ex capo della Bce al Quirinale ma quello che sembra di poter escludere è che quest’ultimo vi accederà senza problemi, come fu per Ciampi. Al momento in cui scriviamo infatti Draghi può contare su Letta e all’incirca sui due terzi del Pd e su Giorgia Meloni, ovviamente con motivazioni differenti – ma la storia potrebbe unirli nell’eventuale scivolamento verso le elezioni; Matteo Salvini lo preferirebbe ancora a Palazzo Chigi con ragioni stavolta serie, e ha ricreato un asse gialloverde con Giuseppe Conte, i cui parlamentari temono le urne come il Covid; Silvio Berlusconi non si sa cosa vuole, tranne che uscire dal pasticcio in cui si è cacciato; la grande pianura del Centro (la Pianura erano i moderati alla Convenzione nazionale francese dopo la Rivoluzione) non sembra così entusiasta di una crisi di governo e piuttosto orientata a una soluzione che lasci il premier a palazzo Chigi.
Questo è il quadro, adesso. Poi tutto può cambiare rapidamente, anche se è legittimo nutrire qualche scetticismo sulla immediata fattibilità di un nuovo governo, premessa per il trasloco di Draghi al Colle. Forse egli ci arriverà, a scalare il Quirinale ma, per come si sono messe le cose, in condizioni più deboli. Un altro capolavoro italiano.