Superato il primo scoglio alla Camera, la legge sul suicidio assistito ne ha oltre 150 ancora da affrontare. Tante sono le proposte di modifica, scrive Repubblica, che rendono incerta la navigazione parlamentare del fine vita, nonostante la spinta che viene dalla bocciatura da parte della Consulta del referendum sull’eutanasia.
L’emendamento che voleva sopprimere tutto il testo, giovedì scorso è stato respinto con una maggioranza ampia – 262 a 126 – benché con voto segreto e con molte assenze nelle file del centrodestra. Ma se la destra, con Fratelli d’Italia e Lega in testa, denuncia «la deriva eutanasica», sinistra e radicali – promotori del referendum sull’eutanasia – giudicano la legge del tutto insufficiente e discriminatoria nei confronti dei malati terminali.
Da Più Europa-Azione sono stati presentati emendamenti che riguardano l’omicidio del consenziente, quindi l’eutanasia, ma difficilmente saranno ammessi. Per la destra e per una parte del mondo cattolico, al contrario, il testo va reso più restrittivo, perché «non c’è un diritto alla morte». Da cancellare quindi il riferimento alla «condizione clinica irreversibile», che allargherebbe le maglie rispetto a «patologia irreversibile», raccomandato dalla Corte Costituzionale nel 2019 in merito al caso di dj Fabo.
Pd e Cinque Stelle sono invece a favore. I renziani sono divisi tra chi, come Lisa Noja e Lucia Annibali, sostiene il testo sul fine vita e chi invece lo ritiene rischioso. Tanto che Italia Viva darà libertà di voto. Come forse farà anche Forza Italia.
Ma se i giallorossi alla Camera hanno la maggioranza, sarà poi in Senato che si sposterà il vero scontro con il rischio di affossare del tutto la legge, come il ddl Zan insegna.
L’appello di Enrico Letta
Il segretario del Partito democratico Enrico Letta, che del tema vuole fare una battaglia di partito dopo mesi di silenzi (come accusano dall’Associazione Coscioni), su Repubblica pubblica ora un appello al Parlamento perché trovi presto una mediazione. Sul fine vita, scrive, «i partiti hanno la responsabilità di agire al più presto. Perché tanta impellenza? Perché c’è una pressione dall’alto, cioè la sentenza della Corte Costituzionale del 2019 dopo il caso Cappato-Dj Fabo sul cosiddetto “suicidio assistito”. Ma anche perché c’è, e rimarrà forte, una spinta dal basso, specie dopo la bocciatura, da parte di quella stessa Corte, del quesito sull’eutanasia sostenuto da oltre un milione di cittadini».
E prosegue: «È vero: sono questioni non completamente sovrapponibili, ma entrambe investono il confine tra la vita e la morte; interrogano e mobilitano. Quanto a lungo vogliamo mortificare le aspettative di una società che sui diritti civili dimostra spesso di essere più matura ed esigente della propria classe dirigente?».
Ora, aggiunge, «compete alla politica scegliere e io ritengo che ci siano le condizioni per farlo con equilibrio e con la massima condivisione possibile. L’importante è che si sgombri il confronto da ogni polarizzazione tossica. Siamo chiamati a deliberare sull’autodeterminazione della persona e sulla sofferenza intima dell’essere umano in quanto tale. Esiste qualcosa di più universale? Credo di no. Con la stessa convinzione penso che nessuno – a destra o a sinistra, tra i laici o i cattolici – possa onestamente dirsi immune dal dubbio e non avvertire sulle proprie spalle il dovere di intervenire su un bisogno così urgente e lacerante. Un peso su cui, nello stesso mondo cattolico, anche voci autorevoli come quella di “Civiltà Cattolica”, si sono espresse, leggendo il fenomeno nella sua corretta angolatura storica».
Se ne discute in tutte le democrazie avanzate, spiega Letta. «Lo fanno i Parlamenti, lo fanno, come in Germania o in Austria, i supremi organi giurisdizionali. Ovunque, a toccare le coscienze, in parallelo con l’evoluzione della sensibilità collettiva sul tema, è l’impatto dei progressi della scienza medica sulla vita e anche sulla morte dei cittadini. La tecnologia allunga l’esistenza sì, ma nello stesso tempo determina un aumento esponenziale, inipotizzabile anche solo venti o trent’anni fa, di persone in condizioni drammatiche. Quanto in là può spingersi il limite? E come conciliare la tutela del diritto alla vita con quello, altrettanto dirimente, a una morte dignitosa? Sono dilemmi etici e politici. E l’unico modo per scioglierli, senza sconfinare indebitamente fuori dall’ambito circoscritto dell’intervento statuale, è muoversi dentro il perimetro delimitato dalla Costituzione e dalle indicazioni della Consulta».
È su questa base, dice Letta, che si fonda la proposta di legge sulla morte medicalmente assistita promossa da Alfredo Bazoli e Nicola Provenza, relatori del testo. «Le condizioni per la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio sono molto stringenti: la presenza di una malattia irreversibile e di sofferenze intollerabili, l’accertamento dei trattamenti di sostegno vitale, l’esperienza provata di un percorso di terapia del dolore e cure palliative. E poi un prerequisito non negoziabile: il libero arbitrio. Vale a dire la capacità del malato, verificata oltre ogni dubbio, di assumere una scelta libera e consapevole. Tutto questo a tutela dei più fragili e vulnerabili, delle persone sole o anziane, di chi per le ragioni più disparate può essere condizionato dalle pressioni di soggetti terzi e non disinteressati. È una proposta equilibrata, suscettibile di miglioramenti. Una legge perfettibile che prova, con la gradualità necessitata dalla complessità della materia, a colmare quel vuoto normativo, come già è avvenuto con il testamento biologico o con la sedazione palliativa profonda. Tutte conquiste ottenute grazie alla spinta di opinione pubblica e movimenti, a partire da quello radicale, e che oggi sono diffusamente accettate come virtuose».
«La proposta non deve essere una bandiera di parte», conclude Letta. «Il Paese ha bisogno di tutto fuorché di uno scontro di civiltà sulla vita e la morte». «Ci sono obiezioni, molte legittime. Per alcuni, i contrari al referendum, è troppo; per altri, i promotori, è troppo poco. Ne sono consapevole. Ma l’esclusione da parte della Corte del quesito obbliga ad un’unica via, quella parlamentare. E in un Parlamento come quello attuale, senza una chiara maggioranza politica, non può che trovarsi un punto di equilibrio tra posizioni diverse. Altrimenti, oltre alle polemiche, a continuare saranno solo le sofferenze, insieme alla perdita di credibilità della politica tutta».