Una volta Silvio Berlusconi avrebbe chiamato direttamente l’amico Vladimir per dirgli di fermarsi. Lui narra che l’avrebbe fatto durante la crisi in Georgia. Raccontò nel 2008 di avere fermato i carri armati russi alle porte di Tbilisi: «Ho evitato un inutile bagno di sangue». Poi, che sia vero è un altro discorso.
Rimane il fatto che adesso, con la guerra è alle porte di Kiev, non muove un dito, non intercede. Anzi, nel giorno in cui il presidente russo ha riconosciuto l’indipendenza del Donbass, sostenendo che l’Ucraina è un’invenzione di Lenin, non è un Paese confinante, ma «parte integrante della storia e cultura russa», il Cavaliere era intento a limare un comunicato ufficiale per smentire le sue nozze con la fidanzata.
Con tanta di acrobazia logica da fargli scrivere che «il rapporto di amore, di stima e di rispetto che mi lega alla signora Marta Fascina è così profondo e solido che non c’è alcun bisogno di formalizzarlo con un matrimonio. Ma proprio perché si tratta di un legame così profondo e così importante, assieme a Marta sto progettando per un prossimo futuro di festeggiarlo come merita, con un appuntamento che coinvolgerà i miei figli e gli amici a me cari».
Mentre alcuni giorni fa spegneva le indiscrezioni che lo volevano sposino a 85 anni con la deputata azzurra di 32 anni, Berlusconi veniva evocato e invocato da amici e avversari affinché calmasse gli ardori guerreschi del russo. Facendo quello che i berluscones chiamano il capolavoro di Pratica di Mare, quando nel 2002 riuscì a far stringere le mani a Putin e Bush junior.
Il primo a invocare Berlusconi è stato l’onorevole Filippo Sensi, ex portavoce di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Di solito prudente. «Diciamo così – aveva scritto su Twitter – che se Berlusconi trovasse due minuti per una telefonata a Putin, secondo me non sarebbe un’idea sbagliata».
A destra gli avevano risposto che certamente non sarebbe una cattiva idea, solo che ci avrebbero dovuto pensare prima di dire che Berlusconi era troppo divisivo per essere essere eletto al Quirinale.
Sono stati in tanti, dentro e vicino al Partito democratico, a ripetere che ci vorrebbe una telefonata dell’ex premier azzurro, da Tommaso Cerno a Gianni Pittella. Perfino Luigi Zanda: «Sarebbe importante se Berlusconi unisse con forza la sua voce a quella di tutto l’Occidente chiedendo a Putin il ritiro immediato delle truppe russe che da troppo tempo incombono sui confini dell’Ucraina».
Intanto il leader di Forza Italia pensava di organizzare la grande festa con la Fascina per evitare il matrimonio. Ieri però si è mosso un po’ ma non per chiamare Vladimir. Al quale avrebbe tanta voglia di dire e che sta sbagliando ma allo stesso tempo aggiungere di non essere d’accordo con le sanzioni volute dagli Stati Uniti e dall’Europa. Si è mosso lo stretto necessario, riunendo il vertice del suo partito e partecipando da remoto al summit del Partito popolare europeo sulla crisi in Ucraina. Sempre rimanendo defilato.
Sa di non avere ormai alcuna influenza sull’autocrate del Cremlino. e non vuole mettere in difficoltà il premier Mario Draghi con il quale ha parlato domenica scorsa, esprimendo tutte le sue perplessità sull’efficacia delle sanzioni economiche.
«È chiaro che dobbiamo rimanere ufficialmente allineati a Washington, ma non possiamo nasconderci che le sanzioni finiscono per danneggiare le nostre imprese e non servono a piegare Mosca». Lo ha detto al coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani, ai capigruppo Anna Maria Bernini e Paolo Barelli, ai ministri Mariastella Gelmini, Renato Brunetta e Mara Carfagna. «Ci vuole prudenza – ha aggiunto – è una questione troppo più grande di noi, della stessa Europa: è una questione tra America e Russia, la devono risolvere Putin e Biden».
Dentro Forza Italia c’è chi ha tirato un sospiro di sollievo di fronte alla prudenza berlusconiana. «Meno male che questa volta è prudente e non si è messo in mezzo, cedendo alle lusinghe di chi voleva un suo intervento su Putin», confida chi ha fatto di tutto per convincere Berlusconi che una sua mossa avrebbe dato l’impressione di mettere in ombra Mario Draghi. Allora è meglio dimenticarsi di avere un amico al Cremlino. Per il momento.