(N)OstpolitikCon lo stop al Nord Stream 2 Scholz ha messo fine alla politica estera merkeliana?

Il Cancelliere tedesco ha deciso di bloccare il via libera al gasdotto lungo circa 1200 chilometri che porterebbe il gas dalla Russia alla Germania. La scelta non era scontata né semplice e forse cambierà per sempre il ruolo geopolitico di Berlino

AP/Lapresse

In una conferenza stampa tenutasi ieri, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha annunciato che la Germania ha deciso di bloccare l’attivazione del gasdotto Nord Stream 2, che avrebbe dovuto portare gas naturale dalla Russia, a seguito del riconoscimento russo dell’indipendenza delle repubbliche Donetsk e Luhansk, presenti su territorio ucraino e non riconosciute da Kiev, dall’Unione europea e dalla Nato.

La decisione potrebbe inaugurare una nuova fase delle relazioni di Berlino con Mosca. Nelle intenzioni tedesche, la costruzione di Nord Stream 2 era centrale per migliorare l’approvvigionamento energetico tedesco, soprattutto nell’ottica di abbandono del carbone di cui la Germania è grande consumatrice. Ma il progetto era da tempo dibattuto, con gli Stati Uniti e l’Unione Europea preoccupati dal fatto che l’infrastruttura avrebbe reso sempre più dipendente la Germania e l’Europa dal gas russo. 

Nord Stream 2 era divenuto quindi l’elefante nella stanza per quel che riguarda le reazioni di Berlino di fronte a una possibile escalation della vicenda ucraina, finendo con l’assumere una valenza anche simbolica. Il dibattito sul progetto era diventato particolarmente animato dopo il caso dell’avvelenamento dell’oppositore russo Alexey Navalny, che aveva visto crescere anche in Germania le voci favorevoli a una sospensione pur nelle difficoltà che questa avrebbe comportato. In quell’occasione, Nord Stream 2 era diventato persino un terreno di scontro tra Länder orientali e occidentali.

Nella crisi ucraina, il governo tedesco non ha mai escluso a priori la possibilità d’includere l’opera nelle sanzioni attivate in caso d’invasione, ma non l’ha mai nemmeno usata apertamente come arma di ricatto negoziale. Anche durante l’era Merkel, Nord Stream era stato sempre presentato come un progetto puramente economico e privato, che non avrebbe dovuto rientrare in negoziazioni di natura geopolitica. Una linea seguita in parte anche dal neo cancelliere Scholz e difesa da diversi esponenti della SPD, ma che nelle ultime settimane, con il crescere delle tensioni al confine ucraino, era divenuta sempre più difficile da sostenere. Sul tema, Scholz ha ricevuto a lungo pressioni, non solo dall’UE e da singoli Stati Europei, ma anche dagli Stati Uniti: nella conferenza stampa congiunta tenuta in occasione della visita del cancelliere a Washington, Biden è arrivato a dire chiaramente che l’idea di proseguire il progetto non era ipotizzabile in caso d’invasione dell’Ucraina.  

Il gasdotto, lungo circa 1200 chilometri, era stato completato già a settembre, ma non aveva ancora potuto essere attivato a seguito della mancanza dell’autorizzazione finale della Bundesnetzagentur, l’ente federale tedesco responsabile per le infrastrutture. L’opera, infatti, è costruita da una società controllata dal consorzio russo Gazprom, che in base alla legislazione tedesca avrebbe dovuto creare una società tedesca tramite cui sottoporre la documentazione necessaria a ricevere le autorizzazioni richieste.

Un processo che, in base alle normative tedesche, avrebbe richiesto mesi, e che negli scorsi mesi era diventato sempre di più un modo, per Scholz, per non avviare il gasdotto senza bloccarlo ufficialmente, con tutto ciò che la cosa avrebbe comportato a livello di relazioni diplomatiche con Mosca. Ieri, tuttavia, il cancelliere ha sciolto le riserve: «i nuovi sviluppi» della situazione ucraina, cioè il riconoscimento delle «cosiddette repubbliche Donetsk e Luhansk» a opera del «presidente russo», impongono a Berlino «di valutare la situazione in maniera nuova», e questo «anche in riferimento a Nord Stream 2». 

Formalmente, il blocco avverrà tramite la sospensione del processo di autorizzazione a mettere in funzione l’opera su cui sta lavorando la Bundesnetzagentur, facendo leva sul fatto che i recenti sviluppi non permetterebbero al progetto di garantire la continuità delle forniture. Politicamente, però, il segnale è chiaro e rappresenta un passaggio che, fino a qualche giorno fa, non era affatto scontato. Le difficoltà a bloccare Nord Stream 2, infatti, hanno le loro radici tanto sul piano economico quanto sul ruolo geopolitico giocato da Berlino nei confronti della Russia.

Il gas russo rappresenta il 32% del totale consumato annualmente dalla Germania, costituendo da solo il 55% delle importazioni di gas di Berlino. Anche in virtù della sua forte dipendenza energetica, la Germania svolge da tempo il ruolo di Paese europeo più incline a discutere con la Russia, avendo come obiettivo quello di scongiurare l’aumento del livello di tensioni.

La Ostpolitik tedesca, consolidatasi negli anni di Angela Merkel, si è a lungo basata sul presupposto che fosse possibile mantenere relazioni diplomatiche civili e pacifiche anche con quelle potenze (come appunto la Russia, o la Cina) con cui, potenzialmente, l’Unione europea e la Nato potrebbero entrare in conflitto.

Con l’aumento delle tensioni tra Russia e USA e, negli ultimi mesi, con il sorgere della questione ucraina, per la Germania lo spazio per interpretare questo ruolo si è progressivamente ridotto, assegnando a Scholz il difficile compito di capire se oggi sia ancora possibile una Ostpolitik di stampo merkeliano, e quale posizione può occupare Berlino nei rapporti tra l’est (Russia in primis) e il mondo atlantico.

Nelle ultime settimane, la posizione della Germania era spesso apparsa timida e indecisa a molti analisti, finendo con il rappresentare per alcuni l’anello debole del blocco occidentale. La situazione era complicata anche da una serie di partite interne alla politica tedesca che si giocano sul caso Ucraina: prima di tutto, la difficoltà di Scholz di portare su posizioni apertamente critiche verso la Russia un partito come la SPD, tradizionalmente aperto al dialogo con il Cremlino e dove sul tema ha ancora un certo peso l’ex Cancelliere Gerard Schröder, oggi con incarichi istituzionali proprio in Gazprom.

Rinunciare a Nord Stream 2, per la Germania, non sarà facile: lo stop al progetto pone alla politica energetica tedesca, così come agli obiettivi ambientali della Bundesrepublik, sfide decisive. Ma la decisione di ieri rappresenta, forse, la dimostrazione che qualcosa è cambiato nel modo in cui Berlino concepisce il suo ruolo geopolitico.

Incalzata dal precipitare degli eventi, la Germania ha adottato come primo atto la sospensione di un progetto il cui significato andava ormai oltre quello puramente economico, e che spesso era stato presentato come avulso dalle tensioni geopolitiche: se questo sarà il primo passo per il superamento della politica estera merkeliana, dipenderà anche dall’evolvere della situazione, ma intanto la mossa di Scholz non va sottovalutata.

X