GastropoliticaPerché la Cina che compra il grano russo è una brutta notizia anche per noi

I prezzi del frumento e dei cereali sono ai massimi storici e questa notizia non fa che complicare gli scenari mondiali, già in grande crisi. E purtroppo incide anche sulle nostre dispense e sulla nostra spesa quotidiana

La Cina ha approvato l’importazione di grano e orzo “da tutte le regioni russe”. Si tratta dell’attuazione di un accordo siglato l’8 febbraio tra il leader del Cremlino e Xi Jinping durante i Giochi Invernali. Un segno di forte alleanza offerto in mondovisione. Dopo poche ore dall’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe guidate da Vladimir Putin, è arrivato l’ok all’attuazione dell’accordo. Questa decisione è una brutta notizia per noi europei per due motivi. Il primo: la Russia ha trovato il modo di aggirare i mercati occidentali, che presto potrebbero essere chiusi a causa di sanzioni. La seconda: data la carenza di grano e cereali dovuta a raccolti insufficienti, penalizzati da condizioni climatiche avverse, i prezzi erano già altissimi. Ora rischiamo aumenti anche speculativi senza precedenti.

La potenza di grano della Russia
Tenendo ferma la distinzione tra grano duro e tenero, la Russia è uno dei più importanti produttori al mondo. La sua produzione media si attesta intorno a 75 milioni di tonnellate, seguita da Stati Uniti (50 Mt), Canada (30 Mt), Ucraina (27 Mt) e Australia (25 Mt; dati: Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d’Italia). Acquisendo il granaio ucraino, la Russia potrebbe vantare una produzione annua pari a oltre 100 Mt all’anno.

Pur con i suoi 135 Mt di grano tenero prodotto ogni anno, la Cina non è considerata un player internazionale perché questa quantità viene riversata nel mercato interno. Finora la Cina aveva escluso la Russia dal suo paniere d’acquisto a causa di preoccupazioni su possibili funghi e colture contaminate. A ottobre 2021, complice anche la scarsità dei raccolti, Pechino aveva aperto all’export del grano russo, ma solo dall’estremo oriente del Paese. Così la Cofco, un colosso statale, aveva inaugurato la nuova era di armonia commerciale tra Mosca e Pechino, importando un primo lotto di 667 tonnellate. Ma in quel periodo l’export russo verso la Cina era in flessione, con un meno 13% rispetto al 2020. Questo accordo e la sua attuazione potrebbero ribaltare questa cifra.

Le conseguenze del sì cinese al grano russo
A protestare contro l’apertura della Cina all’export di grano e cereali russi è stata l’Australia. Il primo ministro Scott Morrison ha dichiarato: «Non si va a lanciare un’ancora di salvezza alla Russia nel momento in cui sta invadendo un altro Paese». Questa dichiarazione è stata seguita da nuove sanzioni del Paese alla Russia, in scia con le decisioni Europa e Stati Uniti.

Intanto, insieme agli aumenti vertiginosi del petrolio, i prezzi del grano sono schizzati del 5,7% in un solo giorno, raggiungendo il valore massimo da 9 anni. La prima quotazione del Matif di Parigi, borsa di riferimento per le materie prime agricole in Europa, spinge a 47 euro in più a tonnellata per il grano tenero (+16%) e a 30 euro in più a tonnellata per il mais (+12%). Con buona pace anche degli effetti sul settore mangimistico e zootecnico.

Questo scenario non fa presagire nulla di buono per le nostre dispense. Infatti, l’Italia produce circa il 65% del grano necessario a coprire il fabbisogno dell’industria della trasformazione. Quindi il restante 30-35% viene coperto dalle importazioni, che non rappresentano un’alternativa bensì una misura necessaria a colmare il divario tra domanda e offerta interna. Inoltre, il nostro bestiame ha bisogno del 53% di mais estero per sopravvivere e l’Ucraina è il nostro secondo fornitore in questo ambito. I rischi che si profilano all’orizzonte sono due: speculazioni e carestie.

Se vi sembrano scenari apocalittici, basti pensare che a causa dell’aumento del gas, asset che risente pesantemente di questa crisi geopolitica, dal 24 febbraio il pastificio La Molisana ha fermato la produzione. I camionisti non possono portare fuori i prodotti dell’azienda a causa delle agitazioni degli autotrasportatori sulle strade del Sud Italia, soprattutto Puglia. Tali disordini sono causati dall’aumento vertiginoso di benzina e gasolio (leggi i barili di cui sopra). Ed è qui che lo spettro della speculazione potrebbe affacciarsi, tentando gli imprenditori con l’idea di svendere le materie prime agricole.