A una dozzina di giorni dalla rielezione di Sergio Mattarella il quadro politico è se non terremotato quantomeno lesionato: da quella scelta largamente unitaria e in teoria tranquillizzante è derivata un’inattesa risacca giudiziaria e politica molto pesante.
In due giorni abbiamo visto decretare da un Tribunale civile la decadenza da presidente del Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte e da un magistrato penale il rinvio a giudizio di Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti e altre persone vicine al leader di Italia viva per una serie di reati fra i quali la violazione del finanziamento pubblico (a sua volta Renzi ha denunciato i magistrati per un presunto abuso d’ufficio).
Due fatti assolutamente diversi – il secondo peraltro abbastanza atteso – che sommati al disastro del centrodestra «sciolto come neve al sole» (Salvini) e alle piccole liti del nascente centro danno il quadro di un sistema dei partiti fragilissimo come la cartapesta usata nei film a Cinecittà.
Solo il Partito democratico, pur nella assenza di una vera strategia, gode di buona salute: per la maggioranza di governo è un po’ poco. Sembra passato un secolo da quando Salvini ma anche Renzi e altri volevano un rafforzamento della squadra di governo attraverso «gli assi di briscola» (ancora Salvini dixit), cioè l’ingresso dei leader nell’esecutivo al posto dei vituperati tecnici: oggi vediamo esattamente quei leader in grande difficoltà.
Si ritorna dunque dove eravamo. A un anno fa, quando dopo le capriole di Giuseppe Conte venne chiamato da Sergio Mattarella l’unico politico veramente forte, Mario Draghi: e pensare che volevano mandarlo al Quirinale!
Chissà oggi chi siederebbe a Palazzo Chigi – magari una bravissima persona – per sopperire alla gigantesca debolezza dei partiti in un contesto nel quale si apre ogni momento un nuovo fronte (adesso, più drammatico di quello che può sembrare, c’è il caro-energia che ieri il presidente del Consiglio ha assicurato di voler combattere con «un intervento di grande portata», speriamo faccia presto).
Insomma, giusto per fare un breve riepilogo, abbiamo la Lega guidata da un capo malconcio che litiga con tutti, Forza Italia incapace di scegliere una strategia a lungo termine, Italia viva con i suoi guai giudiziari in quello che appare più un processo politico che una vicenda penale – vedremo come finirà -, Carlo Calenda che va a congresso nel weekend in splendida solitudine, persino una dialettica tra Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, il M5s dilaniato e senza leader; il tutto dentro un clima di sospetti e veleni.
E in un contesto economico-sociale a tinte fosche, la pandemia non ancora vinta è un quadro internazionale delicatissimo. Come riusciranno i ministri politici a lavorare bene è un mistero. Verrebbe da dire, e meno male che ci sono i tecnici!
Ma la verità è che più che mai le sorti del governo e dell’interesse generale del Paese sono nelle mani del presidente del Consiglio (che ha certo alle spalle la forza del Capo dello Stato): dopo una fase, diciamo così, di confusione generale che ha coinvolto anche lui, spetta a lui l’onere di salvare la baracca. E non ha molto tempo per farlo, da solo, senza l’aiuto di partiti occupati a leccarsi le ferite e lenti a capire il loro destino.