Il temporeggiatoreLa crisi internazionale impedisce a Macron di fare campagna elettorale

Il presidente francese non è ancora ufficialmente candidato e non parteciperà ai dibattiti televisivi prima del 10 aprile. Lui dice che gli impegni portano via troppo tempo. Tutti sanno che prima o poi presenterà la sua candidatura, ma la strategia dell’ultimo minuto non piace a tutti

AP/Lapresse

Quando si candiderà Emmanuel Macron? La domanda, che agita le redazioni e il mondo politico francese, illustra la stranissima campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali che sta vivendo la Francia. Non c’è alcun dubbio che Macron chiederà un secondo mandato, eppure finora il presidente si comporta come se le elezioni non ci fossero. Almeno temporeggia, e per adesso rifiuta di lasciare i panni di Capo dello Stato per indossare quelli del candidato.

Così, a ogni occasione, la stampa cerca di strappargli qualche informazione in più su tempi e modi della sua dichiarazione. Martedì mattina, sull’aereo che lo portava da Mosca a Kiev per un incontro con il presidente ucraino Vladimir Zelensky, Emmanuel Macron ha affrontato l’argomento con i giornalisti che lo hanno seguito in questa missione internazionale: «Bisognerà pensarci a un certo punto, ma la crisi internazionale prende la metà del mio tempo, anzi l’essenziale del mio tempo in questi ultimi giorni», ha detto.

Nei giorni precedenti, l’Eliseo aveva fatto filtrare che la dichiarazione arriverà quando la crisi pandemica e quella internazionale avranno superato la loro fase più intensa. Una strategia anticipata dallo stesso Macron in una lunga intervista concessa alla rete televisiva Tf1 lo scorso dicembre: «Alcuni sono in campagna elettorale, il vostro servitore no».

Per ora il presidente è in testa alle intenzioni di voto con circa il 25%, in grande vantaggio rispetto ai suoi avversari, che faticano a superare il 17%: Marine Le Pen, Éric Zemmour e Valérie Pécresse si contendono il secondo posto, senza che nessuno dei tre si sia finora imposto come unico sfidante in grado di competere per la vittoria finale.

La scelta di Macron è ragionevole sotto certi aspetti: questa settimana ha dovuto annullare alcuni impegni in Francia per andare prima a Mosca, poi a Kiev e infine a Berlino, e ha potuto farlo proprio perché erano impegni legati alla sua agenda presidenziale. Sarebbe stato difficile, al contrario, rinviare un comizio elettorale per la stessa ragione.

Esiste tuttavia un secondo fine: secondo diverse interpretazioni pubblicate dalla stampa francese, l’entourage del presidente ritiene che per Macron non ci sia alcun vantaggio nel partecipare a una campagna elettorale che la maggior parte dei francesi giudica deludente. Anzi, lasciare che gli avversari discutano tra loro mentre Macron è impegnato a guidare il Paese è di per sé un modo di condurre la corsa alla rielezione.

Non dichiarare la sua candidatura, sapendo bene che la questione rimbalza nei talk show, negli editoriali e nelle critiche dei suoi avversari, è una scelta politica con delle ricadute elettorali. Jean-Baptiste Daoulas, inviato da Libération a Mosca, ha dato una sua interpretazione della sequenza diplomatica di Macron: «Presidente del Consiglio dell’Ue per sei mesi, Capo di Stato, candidato non ufficiale per la rielezione ad aprile… è tra tutti questi ruoli che Macron si è destreggiato lunedì a Mosca. Lasciando i commenti sulla sua agenda orientale ai suoi avversari, il capo della diplomazia ha curato la comunicazione della visita, imbarcando sull’aereo una manciata di giornalisti preselezionati senza molta trasparenza per vendere loro i suoi sforzi diplomatici e per alimentare la narrazione dello statista troppo preso dagli affari del mondo per entrare in una volgare campagna elettorale».

La strategia dell’ultimo minuto non è condivisa da tutto l’entourage del presidente. Una parte del macronismo teme che la ritrosia del presidente possa essere scambiata per arroganza, e il suo silenzio sulla competizione elettorale cominci a infastidire una parte dell’opinione pubblica non ostile.

Anche perché, dopo che l’Eliseo ha chiarito che Macron non parteciperà ai dibattiti televisivi previsti prima del 10 aprile, limitandosi a dibattere nel caso tra i due turni, le critiche sono aumentate: «Se le dichiarazioni di Gabriel Attal [il portavoce del governo, ndr] riflettono il desiderio del presidente di non partecipare a un dibattito prima del primo turno, lo trovo preoccupante. Nella migliore delle ipotesi, indica eccessiva cautela. Nel peggiore dei casi, questo rifiuto indica un comportamento monarchico e una forma di immaturità democratica. Non è ragionevole ritenere che un presidente debba scendere dall’Olimpo soltanto ogni cinque anni», ha detto il politologo Pascal Perrineau al Figaro.

I suoi avversari sono convinti che uno dei motivi per cui la campagna non decolli sia proprio l’assenza del principale candidato, un’analisi condivisa anche dalla maggior parte dell’elettorato. Secondo un sondaggio Ipsos per Le Parisien e France Info pubblicato il 5 febbraio, il 51% dei francesi ritiene che Macron debba annunciare la sua candidatura, mentre soltanto per il 23% deve rimanere “solo” presidente il più a lungo possibile.

Qualunque sia la strategia, la data limite per il deposito delle candidature è il 4 marzo. Un mese e poco più di campagna elettorale può sembrare poco, ma all’Eliseo pensano che sia abbastanza.

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